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Palazzi & potere
Colaninno (Pd): impensabile votare senza legge omogenea per Camera e Senato

 

Che anno sarà per la politica italiana? Elezioni sì o no?
Nonostante la legislatura si avvii verso la conclusione, credo che il 2017 sarà comunque un anno importante per la politica italiana, chiamata a misurarsi ancora con un contesto complicato. Riavvolgendo il nastro degli avvenimenti degli ultimi cinque anni, incluso l'esito del referendum del 4 dicembre, non mancano certo le occasioni per l'autocritica. D'altro canto, vanno assolutamente capitalizzati gli sforzi compiuti fino ad oggi, che anzi occorre moltiplicare per metterci definitivamente alle spalle anni di crisi e di recessione dagli effetti devastanti. Il disagio sociale, i sentimenti di antipolitica, il populismo, possono essere contrastati efficacemente solo conciliando politiche di maggiore equità con altre orientate alla crescita, ricostruendo un clima di fiducia nel paese e senza trascurare i vincoli di finanza pubblica. Avendo ben presente questo quadro, per le elezioni anticipate esprimo un "sì" condizionato. Trovo francamente impensabile che si possa tornare alle urne senza che il Parlamento abbia approvato una legge elettorale univoca per Camera e Senato. Non farlo segnerebbe un ulteriore grave colpo alla credibilità delle istituzioni e delle forze politiche tutte. 


In America arriva Trump; cambierà veramente qualcosa?
La campagna elettorale, anche per lo stile con cui è stata condotta, e le prime uscite di Trump da presidente eletto rendono del tutto plausibile l'aspettativa di una netta discontinuità con l'amministrazione Obama. Personalmente, considero quella di Trump una personalità piuttosto difficile da inquadrare. Nella comunità internazionale è piuttosto diffuso il timore che Trump possa realmente tenere fede alle promesse elettorali, a cominciare dalla messa in discussione degli accordi di libero scambio commerciale. E poi, davvero con Trump gli Stati Uniti preferiranno dialogare con la Russia di Putin, a scapito dell'Europa e del Patto atlantico? All'insediamento di Trump mancano ormai pochi giorni e vedremo nei prossimi mesi quali orientamenti matureranno. Preferisco dunque sospendere il giudizio, non escludendo tuttavia a priori che il contesto e le circostanze, al di là dei proclami, possano spingere una grande potenza globale come gli Stati Uniti a sposare un approccio di "realpolitik" sullo scacchiere internazionale.


L'Europa appare sempre più ad un bivio; cambiare o morire. E' proprio così? E come dovrebbe cambiare?
Cambiare o morire è un refrain valido per l'Europa ormai da qualche anno. Dal 2008 in avanti l'Unione ha dovuto confrontarsi con la crisi dei debiti sovrani e delle banche, la disoccupazione indotta dalla recessione, le distanze siderali - non solo in termini geografici - tra paesi scandinavi e paesi mediterranei, la pressione dei flussi migratori, l'ortodossia tedesca dei conti pubblici in ordine come surrogato delle politiche di crescita, la minaccia del terrorismo islamico. Quello che registriamo è purtroppo una sfiducia crescente tra i cittadini dell'Unione, fino all'insofferenza culminata nella clamorosa "Brexit" di qualche mese fa. Dobbiamo guardare alla realtà senza infingimenti. Ad eccezione della BCE guidata da Mario Draghi, sul piano politico l'Europa si sta dimostrando una costruzione fragile e non adeguata ad affrontare con successo le sfide epocali del presente. Oltremodo difficile comprenderne i valori e il senso di prospettiva. Ed è fin troppo evidente l'assoluta necessità di invertire una tendenza alla dissoluzione che pare irreversibile. Il 2017 offrirebbe peraltro un'occasione significativa come la ricorrenza dei 60 anni dalla firma dei Trattati di Roma. Ma come si possono assumere scelte coraggiose, quale potrebbe essere ad esempio l'adozione del metodo comunitario, in un clima di diffidenza e di divisione tra i paesi? Il cammino è oggettivamente tortuoso e certamente non aiutano le prossime scadenze elettorali in Francia e Germania, dove i partiti tradizionali devono fronteggiare la minaccia dei movimenti populisti. La mia speranza è che l'esito elettorale in due paesi chiave dell'Europa incoraggi un rilancio del progetto europeo non più rinviabile.

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matteo colaninno





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