Palazzi & potere
Democrazia rappresentativa, populismi e riforme

La crisi della democrazia rappresentativa non è solo italiana. Nell’editoriale del Corriere della Sera del 4 giugno sulle primarie americane, dal titolo “Il Cesare democratico che non c’è”, Galli della Loggia segnalava la contrapposizione di due risposte politiche al populismo di destra di Trump: la risposta democraticamente “corretta” di Hillary Clinton, basata sui meccanismi della mediazione parlamentare, e il populismo di sinistra di Sanders, meglio in grado di imporsi nella sfida con Trump. Entrambi i populismi caratterizzati dalla ricerca del rapporto diretto con gli elettori saltando le mediazioni parlamentari.
Come si contrasta il populismo? Non certo inseguendolo alla ricerca di consenso e compiacendo le emozioni degli elettori, ma dando risposte tempestive ai problemi. Per questo è essenziale la governabilità. A differenza di quanto avveniva nel 1948, oggi le crisi internazionali si susseguono, spazzano il mondo globalizzato, trascendono il singolo Stato: crisi finanziarie, terrorismo, flussi migratori. Occorre che la reazione sia veloce se davvero si vuole che il sistema sopravviva. Ecco perché l’OCSE raccomanda a noi per primi, con esempi eloquenti come il Messico, riforme economiche e politiche.
In Italia, dall’esito delle elezioni politiche, il tempo d’insediamento del nuovo Governo non è stato mai inferiore a trenta giorni; mesi se si parte dall’apertura della crisi e dallo scioglimento delle Camere. Sono tempi compatibili con le moderne esigenze? No. Ha ancora senso che il recepimento di direttive UE direttamente vincolanti passi attraverso la legge delega approvata da due Camere, seguita da decreti legislativi e da regolamenti attuativi a cascata? No. Ecco perché le riforme sono indispensabili.
Il parlamentarismo deve adeguarsi alla modernità se vuole sopravvivere. Questa richiede, insegnava Calvino nelle Lezioni americane, leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità, coerenza.
Prof. Carlo Malinconico