Il ruolo dei giovani nella politica internazionale è da anni oggetto di una crescente attenzione accademica. Ma per un think tank come l’Istituto Affari Internazionali (IAI), i giovani non possono essere semplice oggetto di studio. Alla luce del loro impatto sulle relazioni internazionali, i giovani devono diventare sempre più uno dei soggetti che coinvolgiamo e con i quali lavoriamo e dialoghiamo. Il nuovo premio internazionale IAI ha proprio questo come scopo.
I giovani nelle scienze politiche e nelle relazioni internazionali sono una categoria difficilmente inquadrabile secondo criteri oggettivi. Quando si smette di essere giovani e si diventa adulti? Compiuta una certa età oppure finiti gli studi, trovato un primo lavoro (magari non precario), diventati economicamente indipendenti o formata una nuova famiglia? Fior fiore di studi spiegano perché il dato anagrafico è necessario ma tutt’altro che sufficiente per definire la fumosa categoria dei giovani nelle relazioni internazionali. Essere giovane ha a che fare con quella condizione del “diventare” più che dell’“essere”: una categoria di persone per definizione dinamica in quanto in divenire e non ancora del tutto compiuta.
Tra piazza e urne
Ma questi giovani – a volte adolescenti, altre invece quarantenni – hanno pesato molto nel determinare gli esiti di grandi eventi o dinamiche internazionali. Basta pensare ai giovani nelle proteste di massa degli ultimi anni, dai ragazzi di piazza Tahrir in Egitto a quelli di piazza Maidan in Ucraina, dagli Indignados spagnoli a Occupy Wall Street negli Stati Uniti. Giovani donne e uomini, avvalendosi dei nuovi strumenti della rivoluzione digitale, hanno compiuto o tentato di compiere rivoluzioni vere e proprie, a volte pacificamente, come in Tunisia o in Egitto, e molte altre violentemente, come attestato dal fenomeno jihadista tanto in Europa quanto in Medio oriente.
In altre occasioni, invece, è proprio l’assenza dei giovani a determinare effetti politici di portata storica. Se ci fosse stata una loro maggiore mobilitazione elettorale – oppure più banalmente se gli over 65 non avessero votato – oggi non avremmo la Brexit e neanche Donald Trump alla Casa Bianca. I giovani, sia attraverso il loro attivismo che la loro passività, pesano eccome nelle relazioni internazionali.
Interlocutori privilegiati
Tutto questo è senz’altro di grande interesse accademico, anzitutto per un think tank qual è lo IAI. Di recente abbiamo concluso, ad esempio, un grande progetto triennale che ha avuto come focus di studio il ruolo dei giovani in Medio oriente: Power2Youth. Ma un think tank deve sì studiare e ricercare, senza tuttavia limitarsi a questo. Se è vero che i giovani svolgono un ruolo crescente nella politica internazionale, è altrettanto vero che un istituto di ricerca deve trovare nuovi canali e strumenti per coinvolgerli. In breve, per un think tank i giovani non possono essere semplice oggetto di studio e di ricerca, ma soggetti privilegiati di interlocuzione.
Tutto ciò rientra nella trasformazione radicale in corso allo IAI così come in molti think tank nostri omologhi in Europa e nel mondo. Da elitario “consigliere del principe”, il think tank è diventato anello di congiunzione tra le “sfere alte” della politica e delle istituzioni e la società civile in senso lato, con un occhio di riguardo proprio ai giovani.
Premiare l’impegno
Questo spiega il lancio di una nuova iniziativa faro dell’Istituto Affari Internazionali: il premio internazionale IAI. Il premio annuale è rivolto agli studenti dai 25 anni in giù, che parteciperanno inviandoci i loro saggi e videoclip. I premiati saranno invitati a discutere le loro idee in un evento pubblico con personalità di alto livello, verranno pubblicati nelle nostre collane e, per il primo classificato, è previsto un tirocinio retribuito in Istituto. Il nostro obiettivo è sì quello di formare queste giovani donne e giovani uomini; ma forse ancor più importante è la nostra ambizione di ascoltare le loro idee e di veicolarle ai mondi della politica e delle istituzioni.
Per iniziare questa nuova avventura dell’Istituto non potevamo che partire dall’Europa. Per l’Istituto fondato da Altiero Spinelli, nell’attuale contesto sociale e politico italiano in cui il sogno europeo rischia di sfumare proprio tra le nuove generazioni, ripartire dall’Europa è un atto dovuto. Dialogare con i giovani che sceglieranno di partecipare, parlando ma soprattutto ascoltando le loro idee, le loro paure ed i loro sogni sull’Europa arricchirà tanto lo IAI quanto – ci auguriamo – i ragazzi, avvicinandoci a raggiungere la missione stessa che ci siamo dati: approfondire la conoscenza, promuovere il dibattito e proporre soluzioni alle grandi sfide della politica europea e internazionale.
*direttore IAI-Istituto Affari Internazionali