Piemonte, quando l'eccellenza del vino fa squadra
Piemonte, la scelta del consorzi Barbera, Asti e Brachetto: valorizzare insieme il territorio. Mercati orientati all'export e nuovi prodotti
Se il "fare squadra" in economia ha sempre senso, lo è ancor più farlo in grande scala e con le persone giuste. Anche se con il cuore "lontano". È la storia del Piemonte e, in particolare, dell’Astigiano e del Monferrato, terre incantate di vigneti a distesa e di castelli. Fino a qualche anno fa, scrive Avvenire, sorta di "parenti poveri" rispetto alle limitrofe Langhe del Barolo e del Barbaresco (dove la quotazione di un ettaro di vigneto può superare anche il milione di euro), queste zone stanno conoscendo una nuova primavera anche grazie all’azione energica di imprenditori come Filippo Mobrici, calabrese trasferitosi al Nord, prima per studio e poi per amore: di sua moglie e di una terra che dà tante eccellenze, in campo agricolo e viniviticolo. Mobrici, già agronomo alla ditta Bersano, è il presidente del consorzio Barbera e Vini del Monferrato.
Realtà che ha deciso di unirsi ad altri due consorzi del territorio, quelli dell’Asti e del Brachetto d’Aqui, per rilanciare la propria immagine e potenziare il marketing con tante iniziative, come la kermesseche a dicembre ha riunito 100 giornalisti e wine blogger di tutto il mondo aprendo le porte per la prima volta anche del castello Gancia di Canelli. Non solo: il 90% delle Doc e Docg piemontesi per aumentare la "potenza di fuoco" dal 2011 ha deciso di radunarsi in un consorzio dei consorzi (anche con l’associazione di viticoltori), "Piemonte Land of Perfection", alla cui presidenza nel 2017 è stato chiamato sempre Mobrici: «È una struttura che punta a valorizzare la diversità come ricchezza e l’unità nella promozione, abbiamo grandi potenzialità da esprimere», dice. E grandi margini ci sono per prodotti che, partendo dai loro 21mila ettari pari a circa il 60% del vitigno regionale a Doc e Docg (per circa 160 milioni di bottiglie), continuano ad avere l’estero come proprio Eldorado. In attesa dei dati 2018, pronti a gennaio, quelli 2017 dicono che l’85% dei quasi 88 milioni di bottiglie di Asti (da un anno anche nella variante "secco", prodotto in 2 milioni di bottiglie e già insignito nel mondo di premi, come per il "Cuvage" di Stefano Ricagno) e Moscato d’Asti va fuori dei confini: per il primo spicca la Russia col 17% delle vendite, seguita da Italia (15%), Germania (14) e Stati Uniti (11), che però dominano sul Moscato col 67% del mercato, contro il 10 dell’Italia e il 4 della Sud Corea. Idem, su volumi più bassi, per la Barbera: su 21 milioni l’anno di bottiglie oltre il 60% è esportato, con prevalenza in Usa, Gran Bretagna, Germania e Nord Europa.
«Ormai da anni è cambiato il senso che l’opinione pubblica aveva della Barbera, che era visto come un vino quotidiano e anche poco fine – spiega Mobrici –. I nostri produttori hanno dimostrato di vederci lungo, avviando quella che possiamo definire la "rivoluzione" della Barbera. Non a caso, ora è da tutti riconosciuto che va bevuto con qualche anno in più». I risultati: nel 2017 è cresciuto del 6,3% il mercato di Barbera, prodotto da 323 aziende in 530 cantine, con prestazioni a doppia cifra come il +16% della Docg Superiore. Ma il Consorzio, nato nel 1946, tutela anche altre 13 denominazioni: 10 Doc e 3 Docg, fra cui il Nizza autore nel 2017 di un ottimo +17,2% e in attesa del riconoscimento a livello europeo. Importante anche qui è la ricerca: si vogliono definire i "profili identitari" di ciascuna area dei 5.300 ettari collinari coltivati a Barbera perché, afferma Mobrici, «tutti i grandi vini mondiali sono caratterizzati da aree vocate, i cosiddetti cru. Anche la Barbera ha voluto intraprendere questa strada e la ricerca è un primo passo verso l’obiettivo di qualificare ancora di più la "regina" dei rossi del Piemonte». Si studiano inoltre nuove tendenze e gusti, come il Brachetto Rosè brut. Il lavoro da fare non manca, insomma. Ma sempre in stretta sinergia: «Tre consorzi, tre vini – afferma Romano Dogliotti, presidente del consorzio dell’Asti –, oggi dobbiamo ragionare come un comparto unito. Avere tante varietà è solo un vantaggio per rafforzare l’identità rural-glam dei nostri prodotti». E porta frutti come il riconoscimento di una rivista americana, Wine Enthusiast, che ha incoronato un Nizza 2015, "I Cipressi" di Chiarlo, come uno dei migliori 100 vini al mondo.
Commenti