Politica

Patto Stabilità, Draghi corre in soccorso della Meloni: "Sì a nuove regole"

Di Mario Draghi

L’ex premier Draghi e l’assist all’Italia sul Patto di stabilità in Europa: “Servono nuove regole e più sovranità condivisa”. IL COMMENTO INTEGRALE

The Economist, il commento integrale dell'ex premier Mario Draghi 

"Un’unione monetaria può sopravvivere senza un’unione fiscale? Questa è la domanda che ha accompagnato l’area dell’euro fin dalla sua creazione. Poiché fin dal suo concepimento ha impedito trasferimenti fiscali, l’unione monetaria è stata considerata da molti economisti destinata al fallimento, prima ancora di essere lanciata. È sopravvissuta a una crisi esistenziale, tra il 2010 e il 2012, soltanto grazie a soluzioni di ripiego e ancora oggi non si avvicina a dare una risposta a quell’interrogativo.

Eppure, paradossalmente, le prospettive di un’unione fiscale nella zona euro stanno migliorando – perché la natura dell’integrazione fiscale necessaria sta cambiando. In genere, l’unione fiscale viene vista come un trasferimento dalle regioni più prospere a quelle che stanno vivendo recessioni economiche, e in Europa resta forte l’opposizione dell’opinione pubblica alla possibilità che i Paesi più forti sostengano i più deboli. Questo tipo di politica di “stabilizzazione” federale è diventata in ogni caso meno rilevante.

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La zona euro si è evoluta in due modi che stanno spianando la strada a un’unione fiscale diversa e potenzialmente più accettabile. Il primo: dal 2012, la Banca centrale europea ha messo a punto strumenti politici atti ad arginare l’indesiderata divergenza tra gli oneri finanziari dei Paesi più forti e dei più deboli e ha dimostrato di volerli utilizzare. Questo ha permesso alle politiche fiscali nazionali – che rivestono un ruolo fondamentale di stabilizzazione nella zona euro – di stabilizzare il ciclo economico.

A sua volta il continente non sta affrontando crisi provocate da politiche inadeguate di Paesi membri ma choc esternifiscalkolta, questo rende meno indispensabili i trasferimenti di fondi da un Paese all’altro. Secondo: l’Europa non sta più affrontando crisi provocate da politiche inadeguate in determinati Paesi. Al contrario, deve confrontarsi con choc comuni esterni come la pandemia, la crisi energetica e la guerra in Ucraina. Questi choc sono troppo grandi perché un Paese riesca a gestirli da solo. Di conseguenza, c'è meno opposizione ad affrontarli attraverso un'azione fiscale comune.

Il continente non sta affrontando crisi provocate da politiche inadeguate di Paesi membri ma choc esterni