Politica
Referendum giustizia, al voto nel silenzio dei media: perché andare a votare
Di questo referendum non ne parla nessuno: tv e giornaloni in silenzio, politici pure. Ma il 12 giugno si avvicina. La guida di Affari per sapersi "orientare"
Presso ciascun distretto di Corte d’appello sono istituiti i consigli giudiziari distrettuali, detti anche mini-Csm. Sono composti per lo più da magistrati, ma anche da professori universitari in materie giuridiche e avvocati. Si tratta dunque di un organo che rispecchia la composizione “mista” del Csm, così da garantire al suo interno la rappresentanza di tutti gli attori della giustizia. Tra le funzioni dei consigli giudiziari c’è anche quella della valutazione sulla professionalità dei magistrati, dal cui voto sono però esclusi professori e avvocati, che si limitano al semplice parere non vincolante.
Le norme interessate dal quesito abrogativo sono alcune di quelle contenute nella legge che istituiva il Consiglio direttivo della Corte di cassazione e nuova disciplina dei Consigli giudiziari, vale a dire il Decreto Legislativo 27 gennaio 2006, n. 25 a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera c) della legge 25 luglio 2005 n. 150. In caso di abrogazione delle norme oggetto del quesito, avvocati e professori universitari facenti parte dei Csm distrettuali potranno infatti esprimere, al pari degli altri componenti, la loro valutazione in ordine alla professionalità dei magistrati che prestano servizio nel distretto.
Come dice una vecchia locuzione latina, “canis canem non est” (cane non mangia cane), quindi l’obiettivo del referendum è evidente: smantellare il corporativismo giudiziario ed evitare l’autoreferenzialità della magistratura, in modo tale che non siano solo i giudici a valutare i giudici, ma anche altri importanti protagonisti del settore come appunto professori e soprattutto avvocati.
3- Separazione delle carriere – Scheda di colore giallo
Il quesito riguarda l’abrogazione delle norme di legge vigenti che consentono il passaggio dei giudici dalla funzione requirente a quella giudicante, e viceversa. La funzione requirente è svolta dal pubblico ministero che fa le indagini, cioè dalla Procura che sostiene l’accusa, quella giudicante è svolta dal giudice di tribunale, di Corte d’appello o di Cassazione che giudica l’imputato.
Il testo del quesito riguarda l’abrogazione di alcune disposizioni di legge a partire dal Regio decreto n. 12/1941 (quello sull’ordinamento giudiziario), fino alla nuova disciplina dell’accesso in magistratura (D.Lgs. n. 160/2006) e gli interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario (d.l. n. 193/2009 convertito con modificazioni nella Legge n. 24/2010).
Sino alla riforma del codice di procedura penale (d.p.r. n. 447/1988), pubblico ministero e giudice erano seduti in aula sullo stesso scranno, in un sistema inquisitorio in cui l’inquirente era una sorta di para-giudice che si poneva al di sopra della difesa.
Le cose cambiano con la riforma del codice di procedura alla fine degli Anni Ottanta e con la riforma dell’art. 111 della Costituzione nel 1999, cioè con la trasformazione del processo penale da inquisitorio ad accusatorio (secondo cui la prova si forma nel dibattimento in condizioni di parità tra accusa e difesa), ma l’ordinamento giudiziario è rimasto ancora quello degli Anni Quaranta, con l’intercambiabilità delle funzioni giudiziarie. Ad oggi l’accesso in magistratura consente al vincitore del concorso di optare per la funzione prescelta e cambiarla fino a quattro volte nel corso dell’intera carriera, con un intervallo di almeno cinque anni da un cambio all’altro.
Può un ex pubblico ministero essere davvero equidistante quando passa dalla funzione requirente a quella giudicante? Crediamo proprio di no, visto che il modus operandi adottato nelle due funzioni è completamente diverso (uno è abituato ad accusare, l’altro a giudicare con terzietà). L’abrogazione proposta dal quesito aprirebbe pertanto la strada alla netta separazione delle carriere dei magistrati.
Nel caso in cui al referendum vincesse il sì all’abrogazione, una volta intrapresa una delle due carriere - requirente o giudicante - il magistrato non potrebbe più optare per l’altra. Ciò garantirebbe la piena realizzazione del principio del giusto processo di cui all’art. 111 della Costituzione, secondo cui ogni processo si deve svolgere “davanti a giudice terzo e imparziale”.