Politica
Renzi, il nuovo "Ghino di Tacco"? Sfida fra i due Matteo
Se la politica è “sangue e merda”, come ricordava il socialista scomodo Rino Formica, e se il truce Mussolini si gongolava nel ripetere: “Molti nemici, molto onore”, oggi è Matteo Renzi a interpretare al meglio le due celebri frasi. Più lo stagno della politica diventa melmoso e putrido più l’ex Rottamatore pare ritrovare lucidità e motivazioni muovendosi con tempismo e spregiudicatezza applicando la regola di Sandro Pertini nella Resistenza: “A brigante, brigante e mezzo”. Più, conseguentemente a questa tattica di giravolte compiute per il “bene del Paese”, i nemici aumentano e più l’ex segretario ed ex premier (accusato in primis di aver tradito gli ideali della sinistra) si convince di essere nel giusto e sulla giusta strada. Così, fra finte sorprese e finti scandali di amici e nemici vecchi e nuovi, Matteo ha tolto il disturbo, un divorzio dal Pd già programmato dopo il referendum del 2016, annunciando contestualmente il suo nuovo partito “Italia viva”, bell’e che pronto dalle elezioni del 4 marzo 2018.
Nessuno, nel Pd, ha battuto ciglio perché non c’era nessuno che non sapesse quel che bolliva in pentola. Il “me ne vado se il Pd si allea con i 5Stelle” per poi invece diventare, all’opposto, il promoter della nuova alleanza per l’inedito governo giallorosso dando il cerino in mano allo spaesato ondivago Zingaretti, è frutto di una strategia politica pianificata e condotta come una azione militare. In questo, Renzi ricorda il Ghino di Tacco di craxiana memoria: apparentemente in guerriglia improvvisata, ma in realtà non agisce mai d’impulso, prepara i suoi piani a lunga scadenza e quando si muove ha già in mente altre mosse successive.
Adesso il paragone di Renzi con Craxi non è più un azzardo. Ciò, sia per la disinvoltura tattica dei due leader, vera e propria spregiudicatezza politica, sia per l’obiettivo di fondo che accomuna i due ex premier: quello cioè di usare il proprio partito come clava, ago della bilancia fondamentale per qualsiasi alleanza di governo, al centro come in periferia. Rignano sull’Arno, paese natale di Renzi, non dista lontano da Radicofani dove verso la fine del 1200 agiva il masnadiero-gentiluomo Ghino di Tacco, soprannome affibbiato nel 1986 da Eugenio Scalfari al capo del Psi cui piaceva essere considerato un temuto “brigante” (con un suo codice d’onore) dai due maggiori partiti (Dc e Pci) con i quali di volta in volta si accordava facendo il pieno del potere: nel governo nazionale con alleanze di centro-sinistra e nei governi locali con alleanze di sinistra. Ora, fatte le debite differenze rispetto ai tempi e ai personaggi, non c’è nel 44enne Matteo di oggi, dopo lo strappo dal Pd, la stessa volontà e la stessa ambizione del 42enne Bettino della congiura del Midas, quella di “farsi un partito” per dare rappresentanza alla volontà di discontinuità manifestata dagli italiani, scuotere dal profondo la rigidità del sistema anchilosato e ridisegnare completamente la politica italiana diventandone il “dominus”?
Il partito “nuovo” di Matteo che non sarà né la nuova Dc né tanto meno un partito di sinistra in competizione con il Partito democratico costretto a virare a sinistra e quindi ad abbandonare la sua vocazione maggioritaria curando il proprio orticello attorno al 20% dei voti. Renzi punta a un nuovo partito di centro certo di poter mietere consensi nella vasta prateria dei “moderati” – da sempre in maggioranza in Italia - oggi delusi nella tenaglia fra l’estremismo per lo più parolaio e inconcludente dell’altro Matteo e un esecutivo formato da Pd e 5Stelle, ex acerrimi nemici poi uniti in un improvvisato e pasticciato matrimonio di convenienza dalla crociata anti Salvini, dalla bramosia di potere, dal timore delle elezioni politiche anticipate. Il premier Conte, all’annuncio di Renzi del divorzio dal Pd e del nuovo partito, è rimasto allibito, col rospo nel gozzo. Il capo del governo sa bene che, numeri parlamentari alla mano, Renzi ha il controllo del suo governo e, sulla base delle proprie convenienze personali e del suo nuovo progetto politico, sarà lui a decidere se e quando staccare la spina. La pianta del potere è ricca di frutti con in maturazione quelli più prelibati: nella primavera 2019 le nomine delle aziende di Stato e nel 2022 l’elezione del presidente della Repubblica. Le contraddizioni fra un Pd cultore della democrazia rappresentativa contrari al plebiscitarismo e un M5Stelle dedito al radicalismo e alla politica intesa come grido di protesta e alla logica della piattaforma Rousseau, due partiti agli antipodi su questioni di fondo, saranno difficilmente componibili. Tutto è in movimento.
La vera partita è fra i due Matteo. Entrambi hanno però bisogno di nuove regole del gioco, un nuovo sistema elettorale. Salvini lancia un referendum abrogativo per togliere la parte proporzionale dell’attuale legge elettorale Rosatellum, trasformarla in maggioritario puro (sistema più trasparente perché chiarisce prima per chi si vota) considerando il proporzionale la legge dell’inciucio, specie senza una soglia minima almeno del 5%. All’opposto, al disegno di Renzi serve il “proporzionale”, per essere baricentro nelle alleanze che vengono concordate dopo il voto. Il gioco si fa duro. Per tutti. La fiducia nel Conte bis è sotto il 30% (Euromedia Research), dato poco incoraggiante per il premier e per i 5Stelle e per il Pd. “Italia viva” di Renzi, ancor prima di entrare in pista, è già oggi al 4,4% (Ipsos) pescando i due terzi dei suoi voti dal Pd, con un italiano su quattro convinto della bontà della scelta fatta dall’ex Rottamatore. Tanti i nodi da sciogliere e gli appuntamenti importanti, fra cui le elezioni in regioni importanti, test dai possibili risvolti nazionali. Entro metà ottobre dovranno essere chiare le linee adottate dal governo in materia economica. Dovrà essere presentato lo schema del bilancio da riempire di misure sulle tasse e la spesa.E si dovranno fare i conti con il debito pubblico: anche solo bloccando gli aumenti dell’Iva il deficit potrebbe salire al 3,1% del Pil, troppo per Bruxelles, una nuova ingozzata amara per gli italiani. Chi tiene il cerino in mano può bruciarsi.