Politica

Riforme costituzionali? Non portano fortuna

Gianni Pardo

Mi chiede un amico: “Non sarebbe possibile ripescare la legge elettorale affossata dal referendum d’un anno fa e resuscitarne qualche parte valida, per esempio l’abolizione del Senato? Come mai tutti erano d’accordo per abolirlo, e nell’anno passato nessuno ha trovato il tempo per riproporlo?”

Tema interessante. Ma in primo luogo va notato che non è dimostrato che “tutti” fossero d’accordo per abolire il Senato. Infatti per la riforma c’era una maggioranza precostituita del Pd alla Camera (in base al Porcellum) ma essa fu imposta a colpi di fiducia, al Senato. E qui i parlamentari hanno preferito dire sì che andare a casa. Nulla a che vedere col merito delle norme costituzionali. Sempre che non ricordi male.

Quanto alla possibilità tecnica di ripescare la legge elettorale, pure se essa era idealmente collegata al referendum, è chiaro che non ne faceva parte. Ed anche se è vero che, permanendo il Senato, essa risultava assurda, chi l’ha affossata è stata la Corte Costituzionale, in gennaio, non il referendum di dicembre. Ma forse il mio corrispondente ha scritto “legge elettorale” e voleva scrivere “riforma costituzionale”, come si vede poi dall’accenno al Senato.

Precisate queste cosette, va detto che mai come in questo caso è stato violato lo spirito della democrazia. Se una riforma elettorale è imposta col ricatto – “O votate sì o finisce la legislatura e voi perdete anche la pensione” – come possiamo sapere che cosa avrebbero deciso, i parlamentari, se fossero stati liberi di votare?

Ma lo stravolgimento delle istituzioni è continuato. Normalmente col referendum avremmo potuto sapere che cosa pensavano della riforma, se non i parlamentari, almeno i cittadini, per quello che ne capivano: e invece nel nostro caso neanche questo è stato possibile. Prima Matteo Renzi, per intestarsi il previsto successo, ha presentato la riforma come una cosa sua, cui teneva tanto particolarmente, che, se non fosse passata, si sarebbe ritirato dalla politica. Anzi, avrebbe “cambiato mestiere”. Ecco una prima personalizzazione.

Quando poi si è accorto che il rischio del “no” era concreto, si è battuto come un leone per il “sì”, essendo onnipresente in tutte le televisioni, insistendo su tutti i toni, minacciando le peggiori conseguenze, in caso di risultato negativo. L’abbandono della politica è stato messo in sordina, ma Renzi non ha potuto rinnegare la promessa che, in caso di sconfitta, si sarebbe dimesso. Gli italiani se la ricordavano troppo bene. Questa accentuata personalizzazione del referendum ha fatto sì che ancora oggi non sappiamo se gli italiani hanno votato contro il referendum o contro un uomo.

E tuttavia, eliminato Renzi, si poteva ripescare la riforma? Innanzi tutto, si ipotizzava di tornare alle urne al più presto. Poi ogni riforma costituzionale richiede due votazioni conformi nei due rami del Parlamento, e a distanza di tre mesi altre due votazioni conformi nei due rami del Parlamento. Inoltre, se si modifica una virgola in uno dei quattro passaggi, l’iter riprende dal principio. Non era nemmeno detto che sarebbe bastato un anno. Infine, chiunque pensasse ad una riforma oggi avrebbe un bel rebus da risolvere: che giudizio hanno dato gli italiani di quella proposta da Renzi? Quali rischi si correrebbero, proponendo qualcosa di simile?

Quella ristrutturazione, accoppiata con la legge elettorale poi bocciata, disegnava un ordinamento costituzionale discutibile. Il potere sarebbe stato consegnato a un solo partito, forte di essere arrivato primo con qualsivoglia percentuale, anche il venti per cento. La sua maggioranza artificiale sarebbe stata infrangibile per cinque anni, e avrebbe comandato nell’unica Camera rimasta. E se infine il partito fosse stato dominato da un leader carismatico, il rischio sarebbe stato: un solo uomo, che comanda a un solo partito, che comanda su una sola Camera. Qualcosa che ricorda molto da vicino una dittatura. Nel 2016 tutto ciò non poté essere denunciato, perché il voto di fiducia tagliò la testa al toro: ma in una discussione normale il pericolo sarebbe evidente.

Un’ultima nota riguarda l’abolizione del Senato. L’Italia è un Paese emotivo capace di votare leggi assurde, per esempio l’omicidio stradale, seguendo la pressione popolare, per non dire che sancisce reati gravissimi – il concorso esterno in associazione mafiosa – senza neanche farli passare dal Parlamento. Dunque il sistema attuale rimane il migliore. Due Camere sono obbligate a votare lo stesso testo (diversamente esso torna alla Camera precedente), e ciò rallenta la legislazione e impedisce i colpi di testa. In un Paese dalle troppe leggi, non è detto che sia un difetto.

Probabilmente per qualche tempo nessuno oserà parlare di riforme costituzionali. L’esperienza di Renzi sarà un monito per tutti. Meglio procedere a piccoli passi ed anche in quel caso con molta prudenza: la riforma del Titolo V, appannaggio della sinistra, ne è un esempio, ed oggi essa stessa è più criticata che apprezzata.

Le riforme costituzionali non portano fortuna.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it