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Finale Champions, ascolti in calo per il quinto anno: il calcio è in crisi

Lorenzo Zacchetti

Il pallone non "tira" più come un tempo e si cercano nuove vie di marketing per aumentarne l'appeal: dalle serie ai tre tempi

Il derby inglese tra Chelsea e Manchester City, protagoniste della finale di Champions League, non ha appassionato particolarmente gli italiani: gli ascolti della partita, trasmessa in chiaro da Canale 5, si sono attestati a 4.795.000 spettatori, per uno share del 21,7%, contro i 5.654.000 e 29,30% del 2020.

Il calo non riguarda solo quest’anno: sono cinque anni che l’audience della finale di Champions League cala rispetto all’edizione precedente! Rispetto al 2017, quando la sfida tra Juventus e Real Madrid aveva avuto 13 milioni di spettatori (share del 50%), il grafico è andato verso il basso sia per le successive sfide: Real-Liverpool e Liverpool-Tottenham. Nel 2020 l’atto finale tra PSG e Bayern Monaco in piena prima ondata di Covid-19 aveva mantenuto gli stessi spettatori, seppure con uno share leggermente superiore: 29,3% contro 27,4%.

L’allarme non riguarda “solo” la massima competizione europea. Anche a livello italiano, il trend è similare. Negli ultimi anni gli abbonati alle pay-tv hanno avuto un notevole calo, dato accentuatosi nella prima ondata del Covid-19, con uno share crollato del 40%. Nemmeno il successo dell’Inter ha cambiato le sorti di un campionato che già nel 2019 era in crisi, come rilevato dall’azienda britannica specializzata nelle ricerche di mercato Enders: il calo era stato certificato a 1,15 milioni abbonamenti in meno per Sky e DAZN rispetto all’anno precedente. Evidentemente, il problema non era il dominio della Juventus e un titolo poco contendibile.

Nonostante le inchieste che contribuiscono a smantellarlo, continua a incidere anche il fenomeno della pirateria, che sottrae ricavi per più di un miliardo di euro.

Il calcio ha perso il suo appeal? Sicuramente non è questo il primo segnale di allarme.

Se ne è discusso molto in occasione del tentativo di lancio della Superlega, abortita prima che le sue ragioni fondanti potessero essere pienamente discusse. Tra le innovazioni che i 12 fondatori stavano studiando c’erano anche le partite suddivise in tre tempi, non solo per aumentare il numero di spot pubblicitari, ma anche per venire incontro alla ridotta capacità attentiva del pubblico di un pubblico i cui gusti vengono plasmati da nuovi formati: da Fortnite a TikTok, il tempo di fruizione è sempre più ridotto, mentre le partite di calcio durano novanta minuti da oltre un secolo.

Adattare il prodotto ai desideri del target è fondamentale in qualunque mercato, anche se il football ha mantenuto una sua sacralità che fa inorridire i puristi, ogni volta che si parla di novità.

E’ stato così anche con l’introduzione del VAR, ora pienamente accettato, ma la strada del cambiamento è appena all’inizio. Un’altra tendenza in rapido mutamento è che l’oggetto di affezione è sempre meno la squadra e sempre di più il singolo giocatore: anche per questo, abituiamoci a docuserie, biopic e altri prodotti collaterali simili, finalizzati a mettere in luce più la biografia e i segreti del campione in questione che le sue pregevolezze tecniche sul campo. I numeri richiedono soluzioni nuove.