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De Zan riapre Il caso Pantani,: "Chi lo ha ucciso è ancora libero" - Esclusiva
"Ho la serena consapevolezza che tra le pagine del libro ci siano tutti gli elementi affinché ognuno possa trovare la risposta al mistero: è stato un omicidio"
«Davide… quella notte la pallina io proprio non l’ho vista». Ho incontrato Anselmo in un pomeriggio di luglio. «Ero lì a pochi centimetri dal suo corpo, oltretutto in uno spazio molto ristretto, tra il letto e la balaustra. Se ci fosse stato qualcosa lo avrei sicuramente notato, anche perché nel nostro mestiere quando ci troviamo in una situazione simile dobbiamo sempre segnalare qualunque elemento riferibile a sostanze stupefacenti. È uno dei nostri doveri. Dunque, se ci fosse stata veramente quella pallina di fianco alla testa del cadavere, non solo l’avrei notata, ma sarei anche stato obbligato a segnalarla nel mio rapporto».
Osservavo con attenzione quell’uomo mentre mi parlava, e ogni cellula del suo corpo mi indicava che stava dicendo la verità: i suoi occhi, i movimenti, il tono della voce, l’espressione che si disegnava sul viso rievocando la drammaticità di quei momenti. Anselmo era sincero, e del resto non avrebbe avuto alcun motivo per mentirmi. Era un uomo semplice, onesto, che cercava di far emergere qualche bagliore di luce, di verità. Provai ad andare più a fondo: «Anselmo, ma nessuno le chiese nulla? Non venne interrogato dalla Polizia?», «No, Davide. Nessuno mi chiese nulla allora e nessuno mi ha mai chiesto nulla per dieci anni».
Ci rendiamo conto? Lui e i suoi colleghi sono stati i primi a intervenire sul corpo di Pantani e nessuno, ribadisco nessuno, è andato a raccogliere la loro testimonianza. Sembra incredibile, eppure è successo anche questo. L’infermiere aggiunge altri particolari: «Io e il mio autista […] siamo stati mezz’ora a osservare tutto quello che avevamo intorno: il corpo, la stanza, la situazione, l’ambiente, i particolari. Se ci fosse stato qualcosa di strano, o di insolito, l’avremmo sicuramente notato. E se per caso quel bolo fosse finito sotto il corpo di Pantani sarebbe apparso poi con una forma schiacciata e non certo rotonda, sferica, come abbiamo visto nelle fotografie e nel filmato della polizia».
Il racconto di Anselmo fu lucidissimo e dettagliato. Evidentemente l’emozione di quei momenti aveva impresso con forza i ricordi nella sua mente. Arrivati a quel punto gli chiesi un ultimo sforzo, domandandogli se, nel corso degli anni, si fosse mai confrontato su quello specifico argomento con gli altri colleghi presenti sulla scena. «Anche loro non hanno visto nulla. All’inizio eravamo in due, vicino a Pantani, poi è arrivato anche l’altro infermiere del 118. Quindi ci sono stati sei occhi puntati su quell’uomo senza vita, per circa mezz’ora, in uno spazio molto ridotto, e nessuno di quegli occhi ha visto quella pallina. Anzi, sa cosa le dico…? Non è che non l’abbiamo vista, quella pallina proprio non c’era».
Come ha fatto, allora, a comparire questo strano elemento sulla scena del crimine? L’unica risposta che rimane è questa: la pallina è stata posizionata in quel punto dopo che gli infermieri si sono allontanati dal corpo di Pantani. Quando il sangue, sul pavimento, era già ecco.
Il motivo? Sviare le indagini. Condurle nella direzione sbagliata. La messa in scena è servita. L’ultimo tassello di quel sinistro puzzle ha trovato il suo posto vicino al cadavere di Marco. Il disegno perverso, e a tratti maldestro, è compiuto. Ed è bastato per mettere in atto l’omicidio perfetto. […] Il delitto perfetto non è soltanto quello che rimane senza un colpevole. È anche quello che dissemina particolari per condurre chi indaga in un luogo distante dalla verità. Esattamente la funzione svolta da quella pallina. Oggetto dissonante, estraneo, sistemato lì per completare lo sfondo di una scena del crimine dove nulla è come sembra. La stanza è immersa in un caos totale, ma nessuno ha sentito alcun rumore. Ci sono oggetti lanciati
ovunque, ma nulla di rotto. Si parla di overdose accidentale, ma mancano gli strumenti necessari per fumare il crack. «Nessuno è mai entrato o uscito da quella stanza», eppure ogni dettaglio fa capire ben altro. A questo punto le domande che ci dobbiamo porre non sono più: omicidio o suicidio? Overdose volontaria o accidentale?
La domanda giusta, adesso, è una sola: chi ha ucciso Marco Pantani? Nel pronunciarla, dobbiamo sapere che le mani di chi gli ha strappato la vita, così come quelle di chi ha alterato i suoi esami di Madonna di Campiglio nel 1999, per quanto sporche di sangue, sono ancora libere di agire indisturbate.