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Sport
Europei 2021: Italia campione, ma quel giro in pullman andava evitato

L’altra faccia della medaglia

La vittoria della nazionale agli Europei è oro puro, in tutti i sensi. Lo splendido gioco offerto dagli Azzurri, la voglia di divertirsi, il non arrendersi mai di fronte all’ambiente ostile e al gol a freddo. La celebrazione più sincera che istituzionale con Sergio Mattarella e Mario Draghi. Il ricordo di Davide Astori. E anche la festa insieme a Matteo Berrettini, anche lui fiero portabandiera dello sport italiano, e last but not least, l'effetto benefico sulla ripresa dell'economia. Tutto bellissimo. Oro, appunto.

Allo stesso tempo, è difficile non rimanere perplessi di fronte agli assembramenti di tifosi per applaudire il pullman scoperto con la squadra. Un pullman che infatti non doveva esserci, ma che all’improvviso è spuntato fuori dopo – a quanto si dice – una trattativa tra il ministero degli Interni e i capitani Chiellini e Bonucci, cosa che già di per se’ fa sorridere.

Si poteva certamente evitare una festa così rischiosa per la salute pubblica, soprattutto dopo aver giustamente dedicato il successo sportivo a un Paese che ha pianto lacrime di dolore per un anno e mezzo e ai medici che sono sempre stati in prima linea.

Contraddizioni, che fanno parte della vita. Lo stesso Roberto Mancini che oggi viene idolatrato per la sua grande impresa, lo scorso ottobre veniva altrettanto giustamente criticato per la richiesta di riaprire gli stadi, nonostante l’allarme rosso nella curva dei contagi, perché ai suoi giocatori non piaceva esibirsi di fronte agli spalti vuoti.

E mentre giustamente critichiamo l’antisportività di alcuni inglesi e il razzismo di chi se l’è presa con i tre ragazzi di colore che hanno fallito i rigori in finale, certamente non dimentichiamo le balbettanti incertezze di Chiellini e compagni di fronte alla scelta se inginocchiarsi o meno per Black Lives Matter, seguita da un comunicato stampa che è riuscito nella difficile impresa di fare più danni dell’errore originario. 

Questo toglie qualcosa alla grandiosità dell’impresa sportiva? Certamente no, ma ci ricorda una volta in più che c’è sempre un’altra faccia della medaglia e che accettare le contraddizioni fa parte della consapevolezza che arriva con l’età.

Anche per questo per la mia generazione l’11 luglio significa soprattutto la finale del mondiale 1982, i cui protagonisti certamente non erano il parto di un calcio immacolato, come non lo sono stati i loro eredi del 2006, ma che ai nostri occhi ingenui e sognanti erano semplicemente eroi invincibili.
 

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