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Tutti contro Novak Djokovic: perché il tennista serbo è il cattivo perfetto
Disposto il fermo per il tennista, al quale l'Australia ha cancellato il visto. Un punto di vista alternativo sulla vicenda che tanto fa discutere
Perché al tennista serbo non si perdona nulla?
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Nava accusa Djokovic di aver “confuso il ruolo di gloria nazionale con un malinteso e pericoloso patriottismo”. A parte che Nava nemmeno coglie cosa ha rappresentato per l’autostima dei serbi l’avvento della stella di Djokovic quindici anni fa, quando il paese era frustrato dalla povertà e dalle guerre perse e con un immagine internazionale simile a quella di un paria, l’esimio commentatore del Corriere dei poteri forti non sa che Djokovic interviene nella politica del suo paese, piaccia o meno, in maniera del tutto fuori dagli schemi politici: dagli appelli contro l’indipendenza del Kosovo in cui si trova a fianco dell’attuale governo di destra, alla recente posizione contro la realizzazione di una enorme miniera di litio da parte dell’australiana Rio Tinto, invece avallata dall’attuale governo.
Questo resta un punto poco esplorato in Italia, che incrocia il fallimento delle politiche biosecuritarie del governo australiano, il pasticcio della federazione tennistica australiana in merito ai pass per partecipare agli Open e le enormi proteste popolari contro gli investimenti in Serbia dell’australiana Rio Tinto. Ma questi aspetti geopolitici interessano poco ai media italiani, che si fermano a un usuale “trattamento” di delegitimazione del no-vax Djokovic, somministrato già ad altri che hanno osato mettere in discussione l’idea che vi sia un’unica modalità per affrontare la pandemia.
Arriviamo così alla notizia di oggi, l’annullamento del visto a Djokovic a seguito della decisione del ministro dell’immigrazione australiano Alex Hawke “per motivi di salute e buon ordine a tutela dell’ordine pubblico”. Chiaro che le vicissitudini del primo tennista al mondo vanno al di là dei capricci di una star mondiale e pongono alcuni quesiti: perché una persona in perfetta salute e con comprovata assenza di virus Sars-Cov2 dovrebbe rappresentare un rischio sanitario? Perché aver assunto un vaccino che oggi immunizza parzialmente per circa quattro mesi e non evita di essere contagiosi dovrebbe comportare maggiori diritti rispetto a chi preferisce o può pemettersi un tampone ogni 48 ore? Perché i no-vax e tutti coloro che esercitano legittimi dubbi sulla curvatura illiberale di tanti provvedimenti vengono additati come nemici della salute pubblica dai media e giornalisti mainstream e dati in pasto sui media sociali al conformismo dell’odio?
Quante scorie resteranno nella società dopo che si deciderà che la diffusione del virus non è un’emergenza paralizzante, ma una malattia oramai endemica da gestire (come sta facendo la Spagna) ed emergeranno gli abusi che la politica, le case farmaceutiche e i media hanno perpetrato ai danni del tessuto civile ed economico e della reputazione di migliaia di persone solo in Italia? Si tratta di domande che dovremmo iniziare a porci, anche per velocizzare l’uscita dall’emergenza biosecuritaria.
Nel caso di Djokovic la sua generosità e simpatia non bastano a fargli perdonare i momenti di nervosisismo in campo che condivide con quasi tutti i suoi colleghi di uno sport che comporta maratone fisiche e mentali pesantissime: perché al tennista serbo non si perdona nulla? Ma così rischieremmo di scivolare nel vittimismo di cui accusano i serbi chi li accusa. Da parte nostra avanziamo un’interpretazione, che invece non intende solleticare lo sciovinismo dei serbi: se Nadal e Federer sono il Messi e il Cristiano Ronaldo del tennis contemporaneo (libero ognuno di attribuire ai due l’una o l’altra similitudine), Djokovic con il suo anticonformismo è una specie di Maradona salutista del tennis, un talento che non si limita a giocare, guadagnare e fare beneficienza, ma si espone socialmente e politicamente, e, a torto o a ragione, non deflette dal presentare e promuovere cause e principi lontani dall’ordinario.
Proprio per questo Djokovic è odiato e al contempo ammirato per la sua capacità di uscire dalle convenzioni, di denunciare argomenti che opportunismo, ignoranza e quieto vivere la gran parte degli sportivi nemmeno sfiora. Un tale personaggio potrebbe mai essere apprezzato in una fase in cui bisogna accettare senza discussioni i provvedimenti e le decisioni dei governi?