Debito pubblico, anche Cipro esce dal programma della Troika
Ancora in alto mare la Grecia che paga l'instabilità politica
Cipro e' uscita ufficialmente dal programma di salvataggio approntato dalla cosiddetta 'troika' (Ue, Fmi e Bce) nell'aprile 2013 per scongiurare un'insolvenza dell'isola del Mediterraneo. Il piano di prestiti e riforme economiche da 10 miliardi di euro pare aver funzionato piuttosto bene: nel 2015 l'economia cipriota ha registrato un tasso di crescita dell'1,6%, il massimo in sette anni. Nicosia non ha quindi nemmeno richiesto il versamento dell'ultima rata da 2,7 miliardi del piano e dovra' pertanto rimborsare entro il 2031 solo 7,3 miliardi di euro, uno al Fmi e il resto all'European Stability Mechanism (Esm), il cosiddetto 'fondo salva-stati' dell'Eurozona.
Proprio il direttore generale dell'Esm, Klaus Regling, ha salutato il termine del programma come "l'ultima storia di successo dell'area euro" dopo la conclusione dei piani che hanno coinvolto Irlanda, Spagna e Portogallo (come ovvio, non si puo' usare certo la stessa formula per la Grecia). "Il paese e' riuscito a ripristinare la crescita economica e rimettere in sesto i conti pubblici molto piu' in fretta del previsto", ha dichiarato Regling, avvertendo che "la fine del programma non e' la fine dell'agena di riforme di Cipro" in quanto "servono maggiori sforzi per ridurre il tasso di sofferenze bancarie, proseguire la riforma del mercato del lavoro e mantenere la disciplina fiscale". Il vice presidente della Commissione Europea, Valdis Dombrovskis, ha da parte sua lodato le autorita' cipriote per "aver fatto quanto necessario per guarire l'economia".
Nicosia ottenne l'accesso agli aiuti dopo aver acconsentito a smantellare la seconda banca del paese, Laiki, e imporre perdite ai correntisti della prima, Bank of Cyprus, pericolosamente sottocapitalizzata. Questa procedura, il cosiddetto 'bail-in' (laddove con il 'bail-out' le banche vengono salvate con denaro pubblico) aveva suscitato forte preoccupazione negli ambienti bancari europei, nel timore che Cipro fosse il banco di prova di uno schema destinato a essere applicato all'intera Europa, come infatti avverra' con la direttiva Ue del 15 maggio 2014.
Sul fronte interno suscitarono inoltre forte opposizione le dure misure di austerita' chieste dalla 'troika', tra le quali il taglio degli stipendi pubblici e privati e l'aumento dell'Iva. Solo una settimana fa i lavoratori portuali di Limassol, seconda citta' dell'isola, hanno incrociato le braccia per protestare contro le privatizzazioni previste dal piano.
“Ogni nazione, attraverso le proprie azioni ed iniziative per consolidare la sua economia, deve fare quanto in suo potere per evitare l’eventualità che qualcuno gli imponga delle misure ancora più aspre e per non lasciare spazio a eventuali ricatti o pressioni”, ha dichiarato Charis Georgiadis, ministro delle finanze cipriota. Il riferimento è al caso scoppiato in Grecia dopo la pubblicazione da parte di Wikileaks di una conversazione tra il capo europeo dell’Fmi Poul Thomsen e la responsabile della missione nel Paese ellenico Delia Velculescu, in cui si parla di come costringere Atene a implementare le riforme richieste.
E proprio Atene é la pecora nera d'Europa. E' infatti l'unico Stato a ritrovarsi ancora sotto il programma di aiuti della Troika. E le sue condizioni sono quasi peggiori rispetto all'inizio della crisi. Secondo gli analisti le elezioni politiche che hanno portato al governo Tsipras e il successivo tira e molla con Commissione europea, Bce e Fmi hanno dilapidato quei passi avanti fatti dal governo Samaras.