Olivetti vende i registratori a Buffetti. Ennesimo schiaffo a un'ex eccellenza
La divisione dell'azienda era in rosso. Ma è un nuovo capitolo di una storia molto triste
Olivetti cede il business dei registratori di cassa a Buffetti. La triste agonia di un'eccellenza italiana vilipesa e distrutta
C'è il linguaggio burocratico, freddo e asettico, che parla di "un ulteriore step del piano strategico che mira a focalizzare le attività del Gruppo sulle componenti 'core' per massimizzare i risultati operativi". E poi c'è il fatto in sé, cioè che Olivetti cede il business dei registratori di cassa a Buffetti. Una storia davvero triste perché mette forse definitivamente la parola fine su un'idea di impresa diversa, sostenibile non tanto dal punto di vista ambientale, ma soprattutto sociale. Era l'azienda di Adriano Olivetti, che teorizzava un rapporto decoroso tra gli stipendi dei top manager e quello degli operai.
Un imprenditore illuminato che seppe portare innovazione in una terra, Ivrea sulle rive della Dora, divenendo il principale datore di lavoro per la cittadina eporediese. Mancò poco che la Olivetti non diventasse il principale polo tecnologico al mondo, ma la cecità di chi ne prese il controllo dopo Adriano. Fu in particolare Carlo De Benedetti, alla fine degli anni '70, a diventarne padre padrone tarpandone le ali. Un episodio su tutti: Elserino Piol, scomparso ad aprile di quest'anno, propose all'ingegnere di rilevare il 20% di Apple per un milione di dollari. Per intenderci: oggi questa stessa quota varrebbe circa 560 miliardi.
Ma De Benedetti oppose il gran rifiuto dicendo "abbiamo cose più importanti a cui pensare". Ecco, appunto. Quali? Il business dei personal computer, in cui Olivetti era stata precursore, intuendo che dalle macchine da scrivere si sarebbe potuti arrivare rapidamente a quei nuovi "calcolatori" che si stavano prendendo la scena e che avevano già portato l'uomo sulla Luna, entrò in crisi alla fine degli anni '80. Tanti competitor, prezzi in picchiata, poche economie di scala: l'azienda di Ivrea andò in crisi e venne progressivamente smantellata.
Dal 1996 l'amministratore delegato divenne Roberto Colaninno il quale decise di imprimere una forte accelerazione abbandonando l'informatica per abbracciare le telecomunicazioni. E nel 1999 lanciò quella che ancora oggi è la più grande operazione di leveraged buyout della storia italiana. Obiettivo: comprare Telecom. Il risultato fu un disastro: due compagnie azzoppate al prezzo di una. Telecom perché si accollò un debito mostruoso, Olivetti perché di fatto venne depauperata di qualsiasi velleità industriale divenendo per lunghi anni una sorta di scatola vuota senza un preciso scopo.
Oggi, per fortuna, si sta concentrando sull'innovazione e fattura circa 130 milioni di euro. Siamo ben lontani dai fasti del passato, ma almeno non è più abbandonata a immalinconirsi in un attimo. Ma torniamo ai registratori di cassa. Il business non funzionava più tanto che, come riporta Il Sole 24 Ore, i costi ammontavano a 18 milioni all'anno contro ricavi per 6 milioni. Facile pensare che la digitalizzazione dell'intero processo degli scontrini, con dispositivi di più moderna concezione, abbia dato una bella mazzata a questo comparto. Ma pensare, in generale, che un'azienda che aveva più di 24mila dipendenti oggi ne abbia poco più di 200 fa venire una malinconia che è difficile arginare.