L'avvocato del cuore

Canone di locazione ed emergenza coronavirus. Stop al pagamento?

La posta dell'Avvocato del cuore, a cura dello studio di Annamaria Bernardini De Pace

In questo difficile momento di emergenza, i miei collaboratori e io abbiamo deciso di esservi vicini, in tutti modi nei quali ciò è possibile, per risolvere rapidamente i Vostri problemi. Quindi anche su Affaritaliani.it. È brutto per noi pensare che siete chiusi a casa, senza possibilità di risolvere problemi (importanti e non), nella convinzione che tutti gli Studi legali siano chiusi. In realtà sappiate che quasi tutti gli avvocati stanno cercando di lavorare e, così, di essere vicini ai loro Clienti, via telefono e via email. Per esempio, noi le consulenze le svolgiamo tramite Skype previo appuntamento da prendere mandando un’email all’indirizzo della segreteria. Indirizzo email e numeri telefonici li trovate sul nostro sito. Potete anche scrivere domande brevissime all’indirizzo email segreteria@abdp.it e qui su Affaritaliani.it Vi daremo le risposte. Tutti i giorni. 
 

Di Avv. Marzia Coppola
Studio Legale Bernardini de Pace

 

LA SECONDA PUNTATA DI SABATO 11 APRILE
 

Canone di locazione ed emergenza sanitaria

“In questo momento di emergenza sanitaria, che si traduce e amplifica in emergenza economica, si è tanto sentito parlare di canone di locazione. Questo vuol dire che sono state introdotte misure per sospendere il pagamento? Oppure che può essere ridotto l’importo?”.

 

Almeno per il momento, il Governo non ha previsto alcuna agevolazione per il canone di locazione degli immobili a uso abitativo, che è un costo importante per tutti. Lo Stato non ha pensato né a chi ha lasciato la casa nella città dove lavora (i “fuori sede” che sono tornati nelle loro città d’origine), né ai pensionati, né agli studenti, né alle famiglie che continuano a vivere nella loro città. In queste ipotesi, gli inquilini sono obbligati a continuare a pagare regolarmente il canone di locazione (salvo, la possibilità di trattarne la riduzione con il proprietario di casa).

 

Misure specifiche, invece, sono state prese per gli immobili a uso commerciale, a seguito della chiusura di tutte le attività “non essenziali” (bar, ristoranti, centri estetici, palestre, ecc.). Infatti, il decreto Cura Italia e le successive specificazioni fornite, hanno previsto il riconoscimento di un credito d’imposta del 60% del canone. Il credito d’imposta è un beneficio fiscale (un credito, appunto) che vanta il contribuente verso le casse dello Stato. Può essere utilizzato per compensare eventuali debiti, per il pagamento delle imposte dovute oppure se ne può richiedere il rimborso nella dichiarazione dei redditi annuale. Nel caso in esame, ed è questo l’aiuto che lo Stato ha voluto fornire, il credito di imposta potrà essere fatto valore per compensazione al momento della compilazione del modello F24 (sarà necessario riportare nella sezione “importi a credito compensati” il codice tributo 6914 - “credito d’imposta canoni di locazione botteghe e negozi – articolo 65 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18”).

Naturalmente, l’importo di riferimento sul quale deve essere calcolato il 60% è il quantum del canone di locazione pagato nel mese di marzo 2020. Possono beneficiarne tutti coloro che, catastalmente, risultano avere un’attività di tipo C/1 (“botteghe e negozi”). Non, invece, chi rientra nella categoria D/8 (“fabbricati costruiti o adattati per le speciali esigenze di un’attività commerciale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni”). L’agevolazione, comunque sia, è valida solo per chi ha provveduto al pagamento dell’intero canone di locazione, perché la ratio è quella di ristorare il contribuente da un costo effettivamente sostenuto.

Questo, in materia di locazione, almeno per ora, è l’unico (patetico) intervento dello Stato.

 

In ogni caso, è utile ricordare anche alcuni rimedi generali del diritto civile: la sospensione dell’esecuzione dei contratti per impossibilità temporanea della prestazione, la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione dovuta, la risoluzione del contratto per sopravvenuta mancanza dei presupposti comuni a entrambe le parti, il recesso dal contratto per giusta causa. Quest’ultimo, in particolare, potrebbe garantire un vantaggio agli inquilini non in termini di pagamento, quanto di durata del contratto. Normalmente, infatti, per poter recedere dal contratto, la legge impone un preavviso di 6 mesi. Laddove vi sia una “giusta causa” questo termine di preavviso può non essere rispettato. Oggi, in piena pandemia, la perdita di reddito proprio a causa dell’emergenza sanitaria potrebbe essere classificata, appunto, come “giusta causa” e questo potrebbe permettere di sciogliere il contratto prima del termine e con un preavviso inferiore rispetto ai sei mesi previsti per legge.