L'avvocato del cuore
Come arginare i contenziosi temerari. L'avvocato risponde
L’avvocato litigioso non piace a nessuno, ma piace ancor meno oggi, in tempi di emergenza sanitaria. La pandemia in atto lo ha implicitamente fermato perché gli ha impedito di radicare nuove cause, salvo che rientrino tra quelle previste dall’articolo 83 del DPCM n. 18 del 17 marzo 2020. Quando la giustizia, però, riprenderà il suo corso, a partire, come parrebbe, dall’11 maggio p.v., l’avvocato causidico, e cioè inutilmente litigioso, tornerà all’azione, prodigandosi per alimentare nuova conflittualità giudiziaria. Quasi fosse lui la parte in causa.
Anche al di fuori dalle aule di giustizia l’avvocato litigioso non piace a nessuno ed è generalmente evitato dai suoi colleghi che ne conoscono le pecche: quando si tratta di pagare le spese delle cause che ha perso, è così scorretto da consigliare al suo assistito di astenersi dall’onorare il debito perché tanto il processo di revisione gli renderà giustizia. E poi, in ogni caso, “c’è sempre tempo per pagare”.
Il punto è proprio questo: le spese di lite, ma anche quelle per il risarcimento del danno conseguente alle strategie processuali temerarie, debbono essere pagate sempre dalla parte soccombente o c’è modo perché la responsabilità economica sia condivisa dall’avvocato?
Non è giusto che sia l’assistito a pagare il prezzo di una mediazione professionale imprudente: c’è un’indiscutibile asimmetria informativa tra il professionista e il comune cittadino onde quest’ultimo – se si fida, con umiltà, del suo legale - non può fare altro che attenersi ai suoi consigli. In questo caso, e cioè qualora l’avvocato abbia patrocinato scientemente cause azzardate al solo fine di incassare la parcella, omettendo di istruirle a dovere, il prezzo della condanna dovrebbe essere (anche) suo.
Ancorché rari nella loro applicazione, gli articoli 94 e 96 del codice di procedura civile codificano strumenti processuali funzionali a scoraggiare cause avventate: letti e applicati contestualmente tra loro, questi articoli ammettono, in presenza di “gravi motivi”, proprio la condanna dell’avvocato che abbia trasgredito al dovere di lealtà o abbia disatteso la normale diligenza nell’istruire il giudizio.
La Cassazione ha stabilito che il provvedimento di condanna, ai sensi e agli effetti delle norme ora citate, non richiede un’apposita domanda di parte, ma può essere emesso dal giudice anche d’ufficio, e cioè dietro sua diretta e personale iniziativa, giusta il potere discrezionale di trarre argomenti di prova, in forza dell’articolo 116 del codice di procedura civile, dal comportamento processuale delle parti. Rientra, quindi, nella competenza dell’autorità giudiziaria sia regolare le spese processuali sia sanzionare le iniziative giudiziarie manifestamente destituite di fondamento.
Nell’ambito delle cause di famiglia, la responsabilità dell’avvocato è ancora maggiore perché egli deve obbedire a regole ancora più rigide, chiare e trasparenti di quelle vigenti in altri ambiti del diritto, attesa la qualità e la natura degli interessi in gioco. E’ capitato all’estensore di questo articolo di eccepire, per esempio, l’incompatibilità del collega a svolgere attività difensiva per conto di uno dei coniugi nell’ambito del procedimento di divorzio per avere egli già assistito - congiuntamente – entrambe le parti nel procedimento di separazione; non sono infrequenti i casi in cui il ricorso per separazione o divorzio sono stati notificati dal collega alla parte senza neppure averli fatti precedere da una comunicazione scritta diretta a ricercare soluzioni stragiudiziali; alcune volte, poi, entrano nel processo documenti riservati e non producibili in giudizio.
Le violazioni deontologiche proliferano mentre le condanne pecuniarie dei vari legulei di turno scarseggiano dato che i giudici sono inclini a punire, preferibilmente, le parti o a compensare le spese di lite.
Questo trend dovrebbe cambiare: l’efficacia deterrente della sanzione pecuniaria è un valido strumento per indurre l’avvocato a selezionare con la massima attenzione sia le informazioni sia la documentazione offertagli dal cliente suggerendogli - al posto di cause azzardate - transazioni equilibrate.
La figura dell’azzeccagarbugli manzoniano è emblematica: gli ordini professionali non sono ancora riusciti a ripulire il campo, completamente, dai professionisti con queste caratteristiche negative: per fortuna pochi. Forse, con l’aiuto dei magistrati, ci riusciranno. A ogni modo la pecora nera esiste sempre: è trasversale a qualsiasi categoria professionale, ma per fortuna l’intero gregge è sempre bianco.
Avvocato Valentina Eramo
Studio legale Bernardini de Pace