L'avvocato del cuore

Coronavirus e lavoro: "Lasciata a casa dopo la prova, che diritti ho?"

La posta dell'Avvocato del cuore, a cura dello studio di Annamaria Bernardini De Pace

In questo difficile momento di emergenza, i miei collaboratori e io abbiamo deciso di esservi vicini, in tutti modi nei quali ciò è possibile, per risolvere rapidamente i Vostri problemi. Quindi anche su Affaritaliani.it. È brutto per noi pensare che siete chiusi a casa, senza possibilità di risolvere problemi (importanti e non), nella convinzione che tutti gli Studi legali siano chiusi. In realtà sappiate che quasi tutti gli avvocati stanno cercando di lavorare e, così, di essere vicini ai loro Clienti, via telefono e via email. Per esempio, noi le consulenze le svolgiamo tramite Skype previo appuntamento da prendere mandando un’email all’indirizzo della segreteria. Indirizzo email e numeri telefonici li trovate sul nostro sito. Potete anche scrivere domande brevissime all’indirizzo email segreteria@abdp.it e qui su Affaritaliani.it Vi daremo le risposte. Tutti i giorni. 
 

Avv. Gian Paolo Valcavi
Per Studio legale Bernardini de Pace
 

LA PUNTATA DI SABATO 11 APRILE

Il 1° marzo 2020 ho iniziato a lavorare per una catena di negozi, con l’obbiettivo di essere addetta ad un punto vendita all’interno di un centro commerciale. Avevo firmato un contratto di somministrazione con scadenza al 30 giugno, con la promessa che a questo sarebbe seguito un’assunzione a tempo indeterminato. Ho iniziato il periodo di prova (di 33 giorni lavorativi), ma prima della sua scadenza mi è stato comunicato il recesso: formalmente per mancato superamento della prova, ma nella realtà mi è stato detto dal capoarea che il vero motivo era la crisi connessa al COVID -19 e non la prova che aveva dato esito positivo. Vorrei capire se posso difendermi o se ho diritto a un’indennità di disoccupazione?”

 

Per rispondere ai dubbi posti è necessario affrontare due temi fondamentali: da una parte analizzare la disciplina del patto di prova e gli effetti dell’illegittimo recesso e, dall’altro, verificare se esistono strumenti di sostegno per la perdita del posto nell’ambito di rapporto di lavoro di breve durata.

 

Cos’è il patto di prova?

Si tratta di una previsione accessoria (cioè eventuale) di un contratto di lavoro, con cui le parti si prendono un lasso di tempo (nel nostro caso 33 giorni) per verificare se il lavoratore possieda le competenze promesse nel corso del colloquio o se la posizione lavorativa sia conforme alle caratteristiche dichiarate dal datore di lavoro. Durante il periodo di prova ogni parte può recedere liberamente senza dare un’effettiva giustificazione e senza alcun preavviso.

Questa libertà è però attenuata dall’operare di due fondamentali principi (cioè correttezza e buona fede): le parti hanno, così, l'obbligo di effettuare un esperimento effettivo delle capacità di integrazione del prestatore nel posto di lavoro.

 

Quali sono gli obblighi principali del datore di lavoro durante la prova?

Se analizziamo come tali limiti influiscano sulla discrezionalità del datore di lavoro, appare chiaro che quest’ultimo abbia lo specifico obbligo di tenere comportamenti coerenti con l’effettivo espletamento della prova da parte del lavoratore. Per effetto di ciò, costituiscono violazioni del patto di prova l’adibire il lavoratore a mansioni diverse da quelle concordate o lasciar intercorrere un periodo di lavoro non sufficiente a consentire al datore di lavoro una valutazione reale delle capacità del lavoratore.

 

Il recesso esercitato nel caso concreto può essere contestato?

Nel caso raccontato dal Lettore appaiono chiari due comportamenti che possono contrastare con i richiamati principi di correttezza e buona fede.

In primo luogo, è difficile ritenere rispettato il dovere di far decorrere un lasso di tempo sufficiente ad effettuare una prova reale se teniamo conto del breve periodo di lavoro effettivo svolto. Infatti, il rapporto ha avuto inizio il 1° marzo e poco dopo sono entrante in vigore le misure restrittive adottate dal Governo per contrastare la diffusione del COVID – 19, tra cui quella che imponeva la chiusura dei centri commerciali. Questo potrebbe costituire un primo vizio del recesso comunicato dal datore di lavoro.

In secondo luogo, il datore di lavoro (tramite il suo capoarea) ha comunicato all'interessato il superamento della prova, dichiarando che le reali motivazioni erano diverse rispetto alla mancanza delle capacità richieste o alla presenza di carenze di tipo comportamentali.

Si potrebbe, quindi, ipotizzare la contestazione della legittimità del recesso ai fini di un suo annullamento, ricordando, però, che spetta al lavoratore l'onere di dimostrare la sussistenza dei due fatti sopraelencati.

 

Quali sono gli effetti dell’eventuale impugnazione?

Il possibile effetto della dichiarata illegittimità del recesso, non potendosi applicare la normativa sui licenziamenti individuali, è il mero risarcimento del danno corrispondente al periodo residuo di prova non espletato e, quindi delle retribuzioni che sarebbero maturate sino alla scadenza del 33° giorno.

 

Chi perde il posto di lavoro in un’ipotesi come quella descritta ha diritto ad un sostegno economico da parte dello Stato?

Il sistema, dopo la riforma del 2015, prevede uno strumento generalizzato di sostegno al reddito a favore dei lavoratori dipendenti che debbono affrontare una “transizione lavorativa”: si tratta della NASpI, cioè della Nuova Assicurazione Sociale per l'Impiego.

Per poter richiedere e ottenere la NASpI è necessario:

  • Essere in stato di disoccupazione involontario;

< >Aver effettuato, nei quattro anni precedenti l'inizio del periodo di disoccupazione, versamenti contributivi (cosa naturale quando si è assunti) contro la disoccupazione per almeno tredici settimane;Aver lavorato, nei dodici mesi che precedono l'inizio del periodo di disoccupazione, per almeno trenta giornate, a prescindere dal minimale contributivo.

Se si rispettano questi requisiti si può accedere ad un assegno mensile.