L'avvocato del cuore
Riconoscimento di paternità: cosa fare se l’uomo rifiuta il test del Dna?
“Buongiorno Avvocato, sono un ragazzo di 20 e da due anni sono in causa con l’uomo che vorrei poter chiamare “padre” ma che rifiuta di riconoscermi come suo figlio. Il Giudice della causa per l’accertamento della paternità, dopo aver visto tutte le prove sulla stabile relazione tra mia madre e quest’uomo, ha disposto l’esame del DNA. Lui però ha già detto e scritto che non si presenterà al prelievo. Cosa posso fare? Il dolore del rifiuto di un padre è insopportabile, spero davvero che la giustizia possa tutelarmi. Grazie, Andrea.”
Caro Andrea,
così come nella vita, anche nell’ambito del diritto a ogni azione una conseguenza.
Tutti i comportamenti tenuti dalle parti, nel corso di ogni procedimento, hanno un riflesso sulla decisione finale del Giudice.
Ai sensi dell’art. 116 del nostro codice di procedura di civile, infatti, il Giudice “può desumere argomenti di prova … dal contegno delle parti stesse nel processo”.
Applicando questo principio di diritto di valutazione delle prove ai procedimenti volti all’accertamento della paternità in giudizio (necessari in assenza di riconoscimento spontaneo da parte del genitore), è chiaro che l’eventuale rifiuto del padre può avere delle conseguenze specifiche sull’esito del giudizio.
Correttamente, infatti, la giurisprudenza ha attribuito valore confessorio alla scelta consapevole del padre di non partecipare all’incontro fissato per il prelievo e l’esame del DNA, dal perito incaricato dal Giudice. In particolare, nelle aule di Tribunale si ritiene pacificamente che “il rifiuto del preteso padre di sottoporsi ad indagini ematologiche costituisce un comportamento valutabile dal giudice, ex art. 116, comma 2, c.p.c., di così elevato valore indiziario da consentire, esso solo, di ritenere fondata la domanda” (tra tutte, Cass. n. 28886 del 2019).
Questo stesso principio vale nella speculare azione volta a ottenere il disconoscimento della paternità di quei bambini che sul certificato di nascita risultato figli di un uomo - perché sono stati riconosciuti o sono nati in costanza di matrimonio - ma che in realtà sono figli “biologici” di un altro. Proprio qualche giorno fa la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19324 del 17 settembre 2020, ha chiarito che il rifiuto ingiustificato della madre di sottoporre il figlio a indagini ematologiche conferma l’assenza di legame biologico tra il bambino e il presunto padre, ai sensi dell’art. 116, comma 2 c.p.c..
Partendo poi dal principio della libertà delle prove, sancito dall’art. 269 c.c. in sede di accertamento giudiziale della paternità, la Suprema Corte ha precisato che “l’ammissione degli accertamenti immuno-ematologici non è subordinata all’esito della prova storica dell’esistenza di una relazione o di un rapporto sessuale tra il presunto padre e la madre” (Cass. n. 16128 del 2019). Ciò significa che l’esame del DNA può costituire la sola e sufficiente prova che consente al Giudice di dichiarare l’accertamento o il disconoscimento della paternità.
Tutto questo però vale dal punto di vista strettamente giuridico, caro Andrea.
Dal punto di vista “sentimentale”, invece, devi sapere che (purtroppo e per fortuna) nel nostro ordinamento non c’è una norma che imponga al padre di “fare il genitore” o, ancor di più, di voler bene al figlio. Sono questioni di cuore che seguono regole proprie.
È quindi giusto che Tu sappia cosa la legge Ti consente di fare e di ottenere, ma è altrettanto importante che Tu sia consapevole che non potrà essere la sentenza che Ti dichiara figlio di quest’uomo a restituirTi tutto l’affetto che lui Ti ha negato e ancora Ti nega. Sappi però che l’ostinato rifiuto di riconoscere il figlio nato fuori dal matrimonio configura pacificamente un illecito endofamiliare e fa sorgere il diritto del figlio a essere risarcito per aver patito un vuoto affettivo, oltre che sociale; ma questo è un discorso diverso che affronteremo in un’altra occasione, se vorrai.
In bocca al lupo!
*Studio Legale Bernardini de Pace