Buonasanità
Il paziente deve sapere che sta morendo? Ecco come gestire il dolore
La gestione del dolore è uno degli aspetti che più caratterizzano la professione medica. Che dire di quando il medico si trova di fronte al difficile interrogativo etico di dover comunicare una malattia mortale? Domande non banali che abbiamo cercato di affrontare grazie al contributo di Giusi Urgesi, che già aveva raccontato la sua esperienza di chirurga e medico dell'emergenza. "Nessuno più del medico è consapevole della fragilità della natura umana nei confronti del dolore! Ed è per questo che personalmente nella mia pratica quotidiana, al di là dell'applicazione di manuali inerenti l'etica, preferisco sempre valutare il paziente nelle sue condizioni psichiche, per intuire se vuol sapere o invece ignorare la gravità del suo male", scrive la dottoressa Urgesi in un post sul suo profilo Facebook.
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Avendo già narrato della mia esperienza di chirurga e medico dell'emergenza, come dimenticare il primo vero, drammatico "incontro" con il dolore degli altri?...
Il primo impatto con diagnosi nefaste, da comunicare con coraggio al paziente e ai suoi cari che attendono con ansia il "verdetto finale"!
E che dire del dubbio etico che comunque attanaglia l'anima del medico allorquando si valuta l'opportunità di rivelare al malato la gravità della patologia che lo condurrà a morte certa o che comunque ne metterà a rischio la vita?....
Nessuno più del medico è consapevole della fragilità della natura umana nei confronti del dolore! Ed è per questo che personalmente nella mia pratica quotidiana, al di là dell'applicazione di manuali inerenti l'etica, preferisco sempre valutare il paziente nelle sue condizioni psichiche, per intuire se vuol sapere o invece ignorare la gravità del suo male!
Perché il rispetto della volontà altrui talora è l'unica cosa che rimane a chi nulla rimane....
Sterile e dannosa a mio parere la cinica decisione di "spiattellare" freddamente la diagnosi senza una precedente valutazione empatica del paziente!
In casi di labilità emotiva dello stesso, una pietosa bugia o una parola di conforto, spesa anche a scapito del mero orario di lavoro, sono il primo medicamento che consente al paziente di trovare la voglia e dunque la forza di metabolizzare prima e affrontare poi il dolore fisico e morale che lo attende, invadendo improvvisamente la sua vita!
Pensiamo al dramma umano nella prospettiva di demolitive mutilazioni fisiche irreversibili, quali l'amputazione di un arto, o della propria morte, vissuta come dolorosa separazione dal mondo e dai propri affetti!
Dunque è priorità assoluta preoccuparsi del dolore del paziente e dei suoi cari di fronte alla malattia....
Ma qualcuno si ricordi di pensare anche a quello che ogni volta il medico "sensibile" prova nel proprio intimo di fronte all'altrui sofferenza!
Qualcuno pensi al coraggio che bisogna tirar fuori quando si accede col sorriso e parole di speranza in stanze di degenza occupate da pazienti terminali, coi quali si stabiliscono rapporti umani coinvolgenti inevitabilmente la sfera affettiva!
Si....quante lacrime soffocate ed ingoiate fuori da quelle stanze!
Oppure qualcuno immagini il coraggio che non sai proprio dove trovare quando all'uscita di una sala operatoria occorre comunicare la morte del paziente ai suoi cari, che fiduciosi attendono da ore una lieta notizia....
Ho spesso immaginato che nel letto e nella situazione in questione poteva esserci una persona a me cara o io stessa, per cui ho cercato di immedesimarmi per capire cosa avrei provato ed eventualmente proverò io!
E purtroppo la vita puntualmente non tarda a presentare i suoi dolori....perché gli altri siamo noi e il dolore passa inesorabilmente attraverso noi e i nostri affetti!
E ti accorgi dunque che tanta sofferenza non è fine a se stessa, ma portatrice di arricchimento a chi la vive e chi la osserva, paziente o medico che sia!