Lo sguardo libero
Il neo antisemitismo contro Israele (virtualmente) peggiore di quello nazista
La causa dell’errore di prospettiva che scambia la vittima col carnefice è il virus endemico nell’umanità dell’invidia e dell'odio contro il popolo di Giacobbe
La reazione americana ai 2.400 morti dell’attacco di Pearl Harbour portò a 3,5 milioni di vittime giapponesi
I segnali sono ovunque: dagli studenti nelle università di tutto il mondo, agli Stati, ultimi a riconoscere lo Stato di Palestina: Irlanda, Norvegia e Spagna, alle prese di posizione delle organizzazioni internazionali: dall’ONU alla Corte penale internazionale, che il 20 maggio ha chiesto l’arresto del premier Benjamin Netanyahu e del ministro della Difesa Yoav Gallant, alla Corte di giustizia internazionale, che venerdì scorso ha intimato al Governo di Gerusalemme la cessazione dell’offensiva a Rafah.
Non bisogna abbassare la guardia. Israele va difeso dal rischio di un nuovo antisemitismo, una bomba sempre pronta ad esplodere. In modo peggiore di quanto avvenne col nazismo. L’uomo è un animale. Se esiste il bene, esiste il male. I temini vengono invertiti: la vittima viene additata come carnefice. La ragione del clamoroso errore di prospettiva non può che essere il virus endemico dell’invidia e dell'odio contro Israele.
Assistiamo alla lenta legittimazione di questa esecrazione; espressione ricorrente dell’umanità nei confronti del popolo di Giacobbe, invidiato e detestato in quanto diverso ed “eletto” da Dio (mutatis mutandis, concettualmente sono le stesse invidia e malevolenza che il popolo prova nei confronti del genio). Lo sdoganamento di questo male, a goccia a goccia, può portare a qualcosa di peggiore di quanto si credeva non potesse più accadere. Ci siamo dimenticati dei campi di sterminio e dei sei milioni di ebrei uccisi dai nazisti? Ci siamo stancati di rileggere “Se questo è un uomo”, il libro di Primo Levi?
Non si potrà che andare verso la logica dei due Stati, l’incendio di lunedì scorso seguito al raid nel campo profughi di Tal al-Sultan a Rafah con la morte di 45 sfollati e 200 feriti non è ammissibile, stipare in condizioni di quasi prigionia oltre due milioni di persone in una striscia lunga 40 km (meno della distanza Milano-Bergamo) e larga 12 km nel punto più ampio, prima o poi crea problemi.
Cionondimeno in democrazia (Israele è l’unica democrazia dell’area e si parla di elezioni anticipate a settembre in cui gli israeliani potrebbero decidere se cambiare linea), anche la persona che vive nelle condizioni più miserevoli e sfortunate paga le conseguenze se commette violenza e uccide, come avvenuto il 7 ottobre scorso a 1.200 ebrei, con atti e soprusi indicibili sulle donne, e 250 catturati quali ostaggi da usare come strumento di ricatto. Quando finirà il sistema di connivenza Hamas-popolazione degli scudi umani? Quando le armi e i terroristi finiranno di essere nascosti sotto le scuole e gli ospedali di Gaza? La causa e la responsabilità della distruzione di Gaza è l’attacco di Hamas del 7 ottobre, “festeggiato” dal 70% dei palestinesi, in gran parte dei Paesi arabi e in molte comunità islamiche di mezzo mondo.
Chi ricorda che i morti a Gaza sono oltre 36.000 e i feriti più di 80.000, pur nel dolore per le vittime, i sofferenti, la fame, dovrebbe riconoscere che non si può parlare di proporzionalità nei confronti di chi ha visto i propri cari morire e subire violenze di ogni tipo e si sente in guerra. Lo stesso sistema determinò la reazione americana sia ai 2.400 morti durante all’attacco di Pearl Harbour (7 dicembre 1941) che portò a 3,5 milioni di vittime giapponesi, sia ai 2.900 morti delle Torri Gemelle (11 settembre 2001), cui seguirono 400mila vittime tra gli iracheni.