Lo sguardo libero

Sanremo simbolo di una società disperata e sentimentale

Di Ernesto Vergani

Quanti dei partecipanti al Festival sanno che l’arte è un atto razionale?

Il dolore non è un merito, non si mette in piazza e non si applaude

Tutte le critiche rivolte al Festival di Sanremo – dal fatto che un Paese si fermi e per una settimana non si parli d’altro, al fatto che il guru di turno col diploma di terza media pontifichi su tutto (dalla pace ai trattori), che ci sia stato del razzismo contro Geolier, che Mara Venier abbia impedito di dire la sua opinione a Dargen D’Amico – sono condivisibili.

La critica più grave è però mancata: quella che, a seguire il Festival, sembra che nessuno sappia cosa sia l’arte (e quindi un artista). Come dice Socrate, riportato da Platone: “Non possiamo chiamare arte alcunché non sia razionale”, o, come scrive Marcel Proust: “L’arte è un’abilità tecnica”. La quasi totalità di coloro che sono gravitati intorno al palco di Sanremo c’è da scommettere che pensi esattamente il contrario: che l’arte sia un atto sentimentale, che derivi dall’ispirazione e dall’improvvisazione. Sanremo è la prova che viviamo in una società disperata, sentimentale, incerta, soprattutto non spirituale (lo spirito è un ambito non solo religioso, ma appunto dell’arte, della magia, della mente, del gioco…). A corredo di tale contesto… i vari ospiti che parlano del loro dolore. Il dolore e la malattia non sono un merito, non si mettono in piazza e non si applaudono.