Ascolti tv, Vikings: la serie che piace al Nord
Nel libro di Fontana i mali dell'Italia
Cosa c'entra il direttore del Corriere della Sera con il clamoroso successo della serie televisiva sui Vichinghi e la nostra consueta analisi sociologica dei trend di ascolto? Apparentemente nulla, ma scandagliando fra le parole, molto. Luciano Fontana, schiacciasassi della notizia di lungo corso, a capo del Corriere della Sera, giornale che, nonostante gli assalti dei nuovi mezzi di comunicazione, si conferma il solido foglio della classe dirigente del Paese, soprattutto del Nord, ha lanciato nella sua recente fatica letteraria, dal titolo ‘Un paese senza leader’ (edito da Longanesi), il tema cruciale del bipolarismo Nord-Sud. Il suo volume – che merita una recensione accurata – è un duro atto di accusa verso la classe politica e un lucido compendio dei danni che la mancanza di una guida solida dello Stato sta provocando alla società, ai giovani, al nostro futuro.
Il direttore del Corriere ha evidenziato le più macroscopiche conseguenze perniciose di questa contrapposizione. Lo fa con determinazione, elegantemente, ma lanciando chiari, amari, scomodi segnali. Con un Paese a due velocità, per di più acefalo dal punto di vista di chi lo dovrebbe guidare, si rischia di riprecipitare nel più oscuro buco nero sociale.
Diciamo la verità: la borghesia cui si rivolge Fontana non lo dice apertamente, ma pensa che il Sud sia irrecuperabilmente perso. L'apartheid civile si è già consumato attraverso la distribuzione razzista delle risorse economiche (vedasi Expo), la resa nei riguardi del controllo territoriale della criminalità organizzata (leggasi Calabria), l’umiliante scelta di trasformare splendide città del meridione in maxi lager-contenitori del flusso migratorio.
Da questo punto di vista Renzi si è fatto sacerdote di tale mood negazionista. Ha imposto ai media che controllava (per esempio la Tv di cosiddetto pubblico servizio) un condizionamento narrativo sicuramente suggestivo ed efficace ma parziale. La ‘questione meridionale’ è stata, quindi, eclissata da tutta la comunicazione politica, almeno così è stato fino a prima del 4 marzo. I risultati si sono visti. Con il trionfo arrabbiato dei M5S, ora ci si interroga su cosa stia succedendo in quella parte del Paese.
Nondimeno, la discussione non si schioda da pregiudizi e insipidi luoghi comuni: il Mezzogiorno viene assimilato, tranne qualche eccezione, alla povertà, alle mafie, alla voglia di assistenzialismo. Insomma, il Sud non è più trendy, da nessun punto di vista. Non lo è dal punto di vista della realtà e non lo è più neanche nella trasfigurazione letteraria. Per paura, per razzismo, per inquietudine, per esasperazione, per mille motivi, si guarda al metaforico Nord come ancora di salvezza.
Un esempio in tal senso ci arriva dal mondo ipersensibile degli uffici marketing internazionali di fiction. La quinta stagione della serie anglo-canadese Vikings è riapprodata in chiaro su Rai 4 dopo esser stata inizialmente destinata alla piattaforma on-demand TimVision, ritornando quindi fruibile da tutti. Nei primi tre mesi del 2018 il programma ha tenuto una media di 352.000 spettatori (share 1,4%) con picchi di 385.000 spettatori pari al 2.8 di share, non proprio poco per una rete digitale. Si tratta di una produzione internazionale vista in oltre cento Paesi che, oltre a essere un fenomeno televisivo, rappresenta un evento social senza precedenti, in grado di generare una vero e proprio culto fra i giovanissimi, come certificato dal New York Times. La saga narra le gesta del guerriero vichingo Ragnar Lothbrok, interpretato dall'attore australiano Travis Fimmel, e fornisce una storia rielaborata delle avventure del leggendario Re scandinavo che diede inizio alle razzie in Europa.
Se vogliamo dare una lettura ‘politica’ della serie, risultano sicuramente valorizzate le invasioni imperialiste di Inghilterra (nelle prime due stagioni) e successivamente Francia (dalla terza stagione) che sono state raccontate esaltando il tratto eroico del vichingo assetato di conoscenza finalizzata al dominio. Per vivacizzare il racconto abbondano, tuttavia, faide, tradimenti, amori, e duelli finalizzati a celebrare neanche tanto subliminalmente l’ethos, inteso come temperamento, ariano.
Forse non è un caso che il Sud – dove pure i guerrieri biondi hanno giocato successivamente le loro carte, ci insegnano i manuali di storia – per ora non abbia avuto ancora nessun ruolo né come terra da conquistare né tantomeno come potenziale minaccia. E non è dato sapere se il produttore dedicherà in futuro delle puntate alle ben note scorribande vichinghe dalle nostre parti. Ma tant’è.
Al di là delle totalmente legittime licenze narrative, il messaggio della serie colpisce per la sua impuntatura Nord-centrica: è vero che la debacle della conquista francese è rappresentata con tutti i limiti della strategia militare normanna, ma chi guarda simpatizza sempre per i conquistatori – guerrieri antipolitici – e difficilmente per i Franchi, loro sì più politici, razionali, cinici e quindi antipatici. Colpisce che la serie mieta proseliti proprio negli anni in cui in Europa il ‘pericolo’ dell’islamizzazione pone il problema geopoliticamente opposto. Gli autori della saga, pur navigando sempre nel politically correct (nessuno sconfinamento in simbologie nazi è ammesso dalla produzione anglo canadese), insistono sul concetto di onore e coraggio dell’Übermensch (superuomo) nordico. L'attrazione del pubblico per una società integralmente bianca, per i Normanni eroi, è certificata dai riscontri internazionali di questa fiction.
E’ vero che le scelte degli sceneggiatori sono spesso dettate da logiche non certo riconducibili alla bieca politica, ma l’incredibile popolarità social degli ariani-vichinghi fa pensare. E se nel Medioevo il sincretismo fra le civiltà raggiunse, dopo molti conflitti, un proprio punto di equilibrio, la sensazione oggi è che gli iati, i bipolarismi siano diventati invalicabili. Proprio come in Italia, ammonisce Luciano Fontana.
I VICHINGHI CONQUISTANO I GIOVANI MASCHI DEL NORD
Come già anticipato, la serie tv Vikings (definita dal New York Times una delle produzioni più importanti e di maggior successo degli ultimi anni) nel prime time del lunedì su Rai 4 (rete diretta da Roberta Enni) nei primi tre mesi del 2018 ha totalizzato una media di 352 mila spettatori (share 1,4%), con picchi anche di 385.000 spettatori pari al 2.8 di share. Il pubblico è spiccatamente maschile (62% del totale, share 1,5%) e giovane (15-19 anni: share 3,3%; 20-44 anni: share 1,45%). La serie ha avuto maggior seguito nelle regioni del Nord Italia (share 1,3%). Lo rivela l’analisi a cura di Anthony Cardamone, a capo del dipartimento ricerche diOmnicom Media Group, in collaborazione con l’agenzia Klaus Davi & Company.
Spigolature
Buon risultato per un grande maestro della tv come Giovanni Minoli che con il suo Faccia a faccia su La 7, rete diretta da Andrea Salerno, porta a casa un 2% di share appassionando 323.000 spettatori in una fascia diventata ormai proibitiva come quella della domenica pomeriggio.
Siamo e restiamo un Paese cattolico. Su Rete 4 (diretta da Sebastiano Lombardi) la Santa Messa ha coinvolto 696.000 spettatori (9.3%). Notevole. Ottimo anche l’ascolto di A Sua Immagine, condotto da Lorena Bianchetti, che ha attirato 1.334.000 spettatori, pari ad uno share del 15.6%, su Rai Uno, rete diretta da Angelo Teodoli.