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Oltre 360 miliardi di euro di sofferenze lorde sono iscritte nei bilanci delle banche italiane, ma secondo WSI Wall Street Italia in un recente articolo a firma Daniele Chicca "l’Italia non soffre tanto di una crisi del settore bancario quanto più di una crisi economica generale. Da quando è stato introdotto l’euro ci sono Paesi che in termini macroeconomici sono restati indietro. Mentre la Germania cavalca un surplus da record, l’Italia è stato il Paese più colpito dopo la Grecia".

D'altra parte, intervistato dalla CNN, Mario Monti un paio d'anni fa dichiarava: “Stiamo effettivamente distruggendo la domanda interna attraverso il consolidamento fiscale. Quindi, ci deve essere una operazione di domanda attraverso l’Europa, un’espansione della domanda“.

Questa "domanda attraverso l’Europa" però non si è verificata, e il risultato è stato un equilibrio asimmetrico con una piccola riduzione di deficit per i Paesi in sofferenza, ma un consolidamento del surplus per i Paesi avvantaggiati. In altre parole, come sostengono nel loro libro "La battaglia contro l'Europa" Thomas Fazi e Guido Iodice "oggi l'Europa è un po' più tedesca".

Secondo Daniele Chicca “vista anche l’interconnessione tra i vari Paesi dell’area euro, se non vengono sistemati i problemi delle banche italiane, si rischia un’implosione sistemica in tutta Europa. Un nuovo choc esterno, nonostante l’impegno di management e governo a risolvere i problemi di capitale e crediti inesigibili, potrebbe provocare una corsa agli sportelli dettata dal panico in Italia”.

Del resto si può supporre che la Bundesbank, non potendo più spremere nulla dalla periferia europea, per rastrellare denaro possa determinare la fine dell’euro con una cosiddetta “uscita dall’alto”. Significa che i Paesi maggiormente indebitati uscendo dall’euro vedrebbero il ritorno alla loro moneta sovrana con una forte svalutazione. I risparmiatori abbandonerebbero presumibilmente i propri investimenti precedenti per concentrarsi sulla moneta più forte: il nuovo marco.

Inoltre il problema dei regimi di bail-in vincolanti introdotti da gennaio in Europa è che favoriscono i capitali più solidi dell’unione monetaria, penalizzando invece quelli più deboli situati nella periferia. In termini prettamente economici, un bail-in degli obbligazionisti finirebbe per congelare il mercato dei bond italiano, scatenando una fuga di capitali dalle banche. Dal punto di vista politico sarebbe un disastro per il governo che sta cercando di riconquistare popolarità in vista del voto decisivo per il futuro di Renzi: quello sul referendum costituzionale di questo autunno.

Da un altro punto di vista, chiamiamola “uscita dal basso”, l’Italia potrebbe decidere inopinatamente di uscire dall’euro, a seguito ad esempio di disordini sociali causati dal panico cui abbiamo accennato prima. Ovvero gli attacchi speculativi costringerebbero Banca d’Italia a imporre l’uscita dall’euro.

Non è un mistero che la Banca d’Italia abbia già da tempo previsto un piano per affrontare l’uscita dall’euro, anche perché sarebbe grave non averlo. Tuttavia il problema non è uscire o non uscire dall’euro, visto poi che un piano esiste. Il problema è affrontare l’argomento politicamente, preparando i cittadini ad affrontare l’eventuale crisi.

“Gli storici sanno spiegare in un modo o in un altro il crollo degli imperi: il più delle volte succede per colpa di un allargamento geografico o militare” ha scritto di recente l'editorialista Jochen Bittner sul Die Zeit “Ma qual è il fattore o la concatenazione di cause che potrebbe portare al tramonto dell'Europa Unita?”

E conclude: “Già oggi, secondo un sondaggio, il 48% dei cittadini italiani si dice a favore dell'uscita dalla Ue. Poiché l'Italia, diversamente dalla Gran Bretagna, è un paese dell'euro, un voto a favore dell'uscita dalla Ue creerebbe una reazione apocalittica sui mercati finanziari. Gli operatori di borsa potrebbero iniziare a speculare, e alcuni si stanno già organizzando in tal senso, contro l'appartenenza del Belpaese alla Ue, portando conseguentemente il Paese fortemente indebitato a non potersi più finanziare sui mercati”.

Paolo Brambilla

 

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