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Consulenza finanziaria e competenze finanziarie
L’attività di ricerca e analisi della Consob intende promuovere la riflessione e stimolare il dibattito su temi relativi all’economia e alla regolamentazione del sistema finanziario. I Quaderni di finanza accolgono lavori di ricerca volti a contribuire al dibattito accademico su questioni di economia e finanza.
E’ stato da poco pubblicato uno studio che indaga il rapporto fra la richiesta di consulenza finanziaria, le competenze finanziarie e la cosiddetta “overconfidence” (un concetto difficilmente traducibile in italiano, forse con “eccesso di fiducia nelle proprie competenze”) dei soggetti analizzati, un campione di circa mille persone. Paradossalmente lo studio pubblicato da Consob per i cittadini italiani, tranne un breve riassunto, è in lingua inglese. Si conferma il sospetto che la Consob si limiti a offrire un servizio formalmente ineccepibile, ma operativamente molto inefficiente.
Strano a dirsi, ma i ricercatori hanno appurato che le persone meno acculturate finanziariamente - che sono anche le persone che ne avrebbero maggiormente bisogno - sono quelle che richiedono meno il servizio di consulenza finanziaria, mentre, al contrario, le persone con maggiore cultura finanziaria sono quelle che avvertono di più la necessità di consulenza.
Lo studio analizza le determinanti della domanda di consulenza finanziaria per un campione rappresentativo di decisori finanziari italiani. In particolare, lo studio indaga il ruolo delle conoscenze finanziarie, effettive e percepite, e la relazione tra conoscenze effettive e percezione delle competenze.
I temi analizzati toccano due aspetti di interesse rilevanti per le possibili implicazioni di policy. Il primo concerne l’eventualità che la consulenza finanziaria possa sopperire ai bassi livelli di “financial literacy” dei risparmiatori italiani. A tal proposito è cruciale verificare, dunque, se gli investitori meno sofisticati sono anche propensi a fruire del servizio; in caso contrario, a beneficiarne sarebbero i più “literate” (ossia coloro che potrebbero averne meno bisogno). Il secondo profilo riguarda il ruolo delle percezioni individuali, che qualora si traducano in sopravvalutazione delle proprie capacità generano la cosiddetta overconfidence, ossia un’attitudine che può avere effetti distorsivi importanti sulle scelte di investimento (incentivando, ad esempio, un’eccessiva assunzione di rischio). È interessante verificare, quindi, se l’overconfidence è una determinante significativa della domanda di consulenza (alcuni studi mostrano che può essere l’unica, in luogo delle competenze effettive) e se, ed eventualmente in quale direzione, il livello di conoscenze finanziarie può incidere sull’overconfidence.
La principale conclusione a cui giunge lo studio è che i soggetti con un livello di conoscenze finanziarie più elevato mostrano una maggiore propensione ad affidarsi a un esperto. La consulenza sembrerebbe agire, pertanto, in via complementare rispetto alla cultura finanziaria nel contribuire ad innalzare la qualità delle scelte di investimento dei risparmiatori.
Gli individui con limitate conoscenze finanziarie e più overconfident, che potenzialmente beneficerebbero più degli altri dei consigli di un esperto, sono invece più inclini ad avvalersi dei suggerimenti di parenti e conoscenti (cosiddetto informal advice). La domanda di consulenza risulta, inoltre, negativamente correlata all’overconfidence, che a sua volta è negativamente correlata alle conoscenze finanziarie: gli individui con più elevata cultura finanziaria appaiono, quindi, meno inclini alla sopravvalutazione delle proprie capacità.
La propensione a richiedere il servizio di consulenza appare più elevata tra le donne (che risultano essere meno competenti nelle materie finanziarie e in alcuni casi meno overconfident degli uomini), gli individui più abbienti e i più anziani. Le evidenze confermano anche il ruolo della fiducia nel consulente, poiché la propensione ad avvalersi del servizio è più elevata tra coloro che dichiarano di sentirsi più motivati ad investire quando sentono di potersi fidare dell’intermediario a cui si rivolgono.
Chiediamo ad Alessandro Pedone di ADUC, associazione a tutela dei risparmiatori, quali conclusioni si possono trarre da questo studio: “Una lettura estensiva di questa ricerca potrebbe portare a ritenere che la consulenza finanziaria non possa sopperire alla scarsa cultura finanziaria e quindi - ai fini di tutelare il risparmio - sarebbe più importante favorire l’educazione finanziaria che la consulenza finanziaria. Si tratterebbe di una lettura sbagliata. Le persone meno acculturate finanziariamente non richiedono il servizio di consulenza finanziaria per la semplice ragione che in maggioranza ne ignorano l’esistenza. Quei pochi che conoscono questa possibilità credono (solo in parte con qualche ragione) che si tratti di un servizio rivolto a chi ha patrimoni molto consistenti”.
Negli ultimi anni, la consulenza finanziaria come strumento per la tutela degli investitori ha sempre guadagnato spazio: nel quadro della normativa europea, MiFID e MiFID 2, alcuni aspetti entreranno in vigore nel gennaio 2017, perfezionando la regolamentazione dei conflitti di interesse e le caratteristiche di consulenza indipendente in linea con le disposizioni dell’ESMA. Obiettivo è promuovere la consulenza imparziale e standard minimi di competenza dei consulenti, con maggiore trasparenza su natura e costo del servizio. Resta comunque il problema che gli individui meno informati non possono beneficiare di consigli imparziali se non sono disposti a consultare un esperto.
“La soluzione più efficace per la tutela del risparmio “prosegue Alessandro Pedone” rimane quella di uno stravolgimento dei principi stessi che oggi informano le norme del diritto finanziario. Dobbiamo prendere atto che il principio della disclosure (ovvero informare il cliente) è un caposaldo necessario ma non sufficiente. Ha ampiamente fallito lo scopo di tutelare gli investitori. Servono politiche molto più attive rispetto al semplice “informare”. Servirebbe, ad esempio, che l’autorità di vigilanza ci mettesse la faccia prima, in fase di scelta, facendo un elenco di investimenti consigliati “standard” per esigenze “standard”. I noiosissimi “pistolotti” di educazione finanziaria, presenti anche nel sito della Consob, possono essere utili ad un numero molto residuale di persone”.
In Italia la legge di stabilità 2016 (legge 208/2015) ha recentemente istituito, in via teorica, un registro di consulenti finanziari indipendenti (persone fisiche), ma al momento le prospettive non sono per niente chiare. Secondo il Rapporto sulle scelte di investimento delle famiglie italiane, pubblicato dalla Consob nel mese di giugno 2015 la percentuale delle famiglie italiane che si servono di raccomandazioni professionali personalizzate rimane al di sotto del 10% e la disponibilità a remunerare esplicitamente la consulenza finanziaria è molto bassa in tutti gli investitori.
“Servirebbe che gli strumenti finanziari che richiedono competenze specifiche non possano essere collocati se non a clienti con comprovata esperienza oppure assistiti da professionisti che se ne assumono la responsabilità “conclude Alessandro Pedone “Servono, insomma, politiche attive che orientino i comportamenti. Purtroppo si deve constatare che la direzione verso la quale stanno andando le norme è esattamente opposta. In Italia si sta cercando di fare confusione fra la consulenza strumentale alla vendita e la vera consulenza, quella indipendente nella quale il soggetto è un terzo e non un intermediario finanziario”.
In effetti la consulenza finanziaria, di fatto, è un servizio ancora marginale. Con adeguate politiche (il premio Nobel per l’economia Robert Shiller, ad esempio, ha proposto di agevolare fiscalmente il servizio di consulenza finanziaria indipendente retribuita a parcella su base oraria) potrebbe diventare uno strumento importante per la tutela del risparmio, ma ad oggi rimane un servizio sostanzialmente marginale destinato a pochi fortunati.
Paolo Brambilla