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Convenzioni internazionali, diritti dell’uomo e fenomeno migratorio
Chiediamo all’avv. Gaetano Berni un approfondimento di questa delicata materia
Dopo gli interventi su Affari Italiani di Giampaolo Berni Ferretti, Consigliere e Responsabile Politico di Forza Italia del Municipio 1 di Milano, del 21 e del 24 agosto 2017, sul Fenomeno Migratorio, Diritti Umani e rispetto delle Convenzioni internazionali, su interessamento dello stesso Berni Ferretti, siamo riusciti a chiedere un ulteriore approfondimento all’avvocato Gaetano Berni, già Consigliere di Cassazione su designazione del CSM per altissimi meriti professionali.
Torniamo per un attimo alla settimana scorsa. Giampaolo Berni Ferretti aveva chiesto in particolare, partendo da una lettura dell’art. 4 del Codice Penale che sancisce che “Agli effetti della legge penale è territorio dello Stato il territorio della Repubblica" (territorio dello Stato si intende la superficie terrestre compresa nei sui confini politico-geografici, nonché il mare costiero e lo spazio areo) perché non si applichi la legge nazionale, (art. 6 ss del Codice Penale) a chiunque delinque nel territorio dello Stato.
APPLICARE LE NORME DEL DIRITTO
Insomma, ci si chiedeva “quando il Governo italiano si deciderà ad una puntuale applicazione delle norme del diritto? Se si deve trattare di accoglienza, vi deve essere infatti anche integrazione ed accettazione delle regole di civile convivenza della società italiana! Stiamo infatti assistendo, ormai da anni, a fenomeni migratori non coordinati con i Paesi d’origine, non ricercati dal mercato del lavoro e non spinti da motivi di studio. Migrazione di decine di migliaia di persone, che su “barche di fortuna” raggiungono le nostre coste per stabilirsi nel Vecchio Continente. Gli stessi richiedono poi asilo come rifugiati e/o profughi. Il fenomeno sul sistema città”, diceva nei suoi precedenti interventi Giampaolo Berni Ferretti “è devastante: occupazione di case popolari, numerosissimi fenomeni di commercio abusivo, prostituzione, spaccio di stupefacenti, accattonaggio”, il cui fenomeno è stato oggetto anche di un’apposita Interrogazione del Berni Ferretti stesso, “pare, gestito da un’organizzazione criminale definita Black Axe (Mafia Nigeriana)".
LA MIGRAZIONE ECONOMICA
“Cioè parrebbe, ed anzi appare evidente “continua ora Giampaolo Berni Ferretti “che la denuncia di condotte discriminatorie da parte del Paese d’origine fatta da chi vuole lavorare e non ha un lavoro effettivo, nasconda in realtà un vero e proprio fenomeno di migrazione economica” specificando che “gli articoli 13 e 14 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo New York, 10 Dicembre 1948 riconoscono i diritti all’espatrio ed il diritto di tutela da persecuzioni”.
L'ASILO POLITICO
La Convenzione di NY del 1948 ci fornisce cioè la definizione di profugo, ma stante la necessità di dover presentare al Paese ospitante, da parte dell’interessato, una richiesta di asilo politico suffragata da prove concrete, ci si chiedeva se “a fronte delle tante domande provenienti da Paesi oggi non definiti “canaglia” (ovvero dove sono violati i diritti quelli che la Convenzione Onu del 10 dicembre 1948 sui diritti umani definisce come fondamentali, quali la dignità ed il valore della persona umana, nell'uguaglianza dei diritti dell'uomo e della donna, ecc.) perché il Governo italiano non intenda promuovere un'azione per richiedere la definizione di Stato Canaglia a Paesi come la Nigeria? Ciò comporterebbe azioni di pressione internazionale sullo Stato in questione come l’embargo, per impedire che materiale bellico possa essere venduto nei suoi confini per poi essere utilizzato per reprimere i diritti di libertà dei singoli”.
LA POVERTA' NEL MONDO
“Qualcuno poi invoca”, concludeva il Berni Ferretti, “la povertà nel mondo come la ragione per cui dovremmo non rispettare le regole che come Comunità di Stati Liberi (alle Nazioni Unite) ci siamo dati: <Nessun italiano quando emigrava negli Usa, nessun Irlandese e soprattutto nessun ebreo, il cui fenomeno migratorio è antichissimo ed è anche stato vittima di persecuzioni razziali, si è mai permesso di invocare la povertà dell’Italia o dell’Irlanda o la distruzione del Tempio di Gerusalemme, per pretendere di infrangere le regole della civile convivenza che gli Stati ospitanti si erano dati, né ha mai preteso di cambiarne usi e costumi>.
La povertà delle Nazioni, concludendo, è un fenomeno ciclico ed antico, già Lenin aveva provato a debellarla per <decreto legge> (La NEP) le conseguenze furono Stalin e lo Stalinismo. Le domande che dobbiamo porci piuttosto sono come creare ricchezza e sviluppo in Paesi cosiddetti del 4° mondo? Ma soprattutto, visto che questi, sono Paesi che esportano solo e soprattutto materie prime, se, a fronte degli incrementi dei prezzi dei prodotti finiti negli ultimi 20 anni in Europa, a cui non corrisponde un aumento dei prezzi delle materie prime, se qualcuno a livello anche Comunitario non stia facendo gli interessi delle multinazionali? Siamo poi sicuri che un Paese con il circa il 12% di disoccupazione, come l’Italia, possa assorbire tutti questi migranti?”.
Chiediamo all’avv. Gaetano Berni un approfondimento di questa delicata materia.
“Migranti si, migranti no; tutti i giorni la principale occupazione dei nostri politici e di quelli di altri Stati è diretta a trovare qualche miracolosa alchimia che possa migliorare una situazione globale difficile e ricca di preoccupazioni.
Il tutto con interventi legislativi che appaiono dettati da spinte emotive, peraltro del tutto comprensibili, visti i tragici fatti di sangue che si susseguono in tutta UE, ma che non sembrano offrire risultati tranquillizzanti.
E’ facile che in simili momenti, il politico, la persona delle istituzioni, possa sconfinare in quella palude maleodorante che ha un solo nome: arbitrio; mentre in questa palude, con un po’ di pazienza, è possibile, invece, trovare uno stretto sentiero che si chiama legge e su questo dovremmo confrontarsi in modo leale e trasparente”.
Non si diceva un tempo che l’Italia era la patria del diritto?
“E’ fatto arcinoto che la legislazione in materia ha avuto, quasi sempre, origine convenzionale, poiché il problema della immigrazione non è solo italiano, anche se il nostro Stato è più coinvolto, quantomeno per la sua collocazione geografica.
Nel lontano 1948, poco tempo dopo la fine della II guerra mondiale, molti Stati si sono riuniti a New York per fissare delle nobilissime regole da applicarsi a tutti gli individui del pianeta e fra queste fu stabilito il diritto di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato (art.13 Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo New York, 10 Dicembre 1948).
Allora il nostro Paese aveva problemi di emigrazione e non di immigrazione e questa regola generale avrebbe semmai, dovuto favorire i nostri emigranti, ma poi alla prova dei fatti non è pretestuoso ritenere che tante discriminazioni sono state poste in essere nei confronti di quanti, per lavoro, sono emigrati, allora, in Svizzera od in Germania e quindi questa libertà di movimento è rimasta sostanzialmente come una semplice utopia”.
Questo vale anche per il diritto d’asilo?
“Lo stesso può dirsi del diritto di asilo in favore di quanti siano vittime di persecuzioni (art.14 Dichiarazione Universale citata); ma anche in questo caso sarebbe interessante verificare se questo principio ha avuto una concreta attuazione ed, ad esempio, se gli ungheresi che tanti anni fa hanno lasciato il loro Paese sotto la minaccia dei carri armati sovietici, hanno potuto farlo senza difficoltà, limitandosi ad esibire alla guardie confinarie il loro passaporto.
Sotto un diverso versante, l’esistenza in uno Stato estero di condotte persecutorie nei confronti di determinati individui, dovrebbe comportare, per quello Stato, la possibilità di essere oggetto di particolari attenzioni da parte dell’ONU, fino al possibile embargo per l’importazione di alcuni beni.
Ma anche in questo caso, le soluzioni prescelte, a livello internazionale sono confuse, talora caotiche e di fatto soltanto le autorità dello Stato di rifugio possono valutare la sussistenza delle condizioni per attribuire a quell’ individuo il requisito di “rifugiato”, ma con strumenti di verifica approssimativi e sommari, perché talvolta è successo che la persecuzione della quale era stata vittima il “rifugiato”, era diretta conseguenza di gravi reati da costui commessi e non da comportamenti discriminatori posti in essere in suo danno”.
Qual è il ruolo dell’ONU in tutto questo?
“L’ ONU, non possiamo ignorarlo, si è interessata non solo di quanti si allontanavano dal proprio Paese, per svariate esigenze, forse perché vittime di persecuzioni politiche, ma, in particolare, dell’ emigrante ”lavoratore” (Conv. ONU 18 dicembre 1990).
La Convenzione con lodevole scrupolo si è preoccupata di fornire una definizione precisa della persona che emigra per lavorare e tale è quella che “sarà occupata, è occupata od è stata occupata in una attività remunerata in uno Stato del quale non è cittadino” (art 2 Conv. ONU del 18 dicembre 1990).
La soluzione prescelta è giuridicamente ineccepibile, ma, con riferimento al nostro Paese, i frequenti processi per il rilascio di falsi permessi di lavoro lasciano intendere come questa regola sia agevolmente eludibile.
Anche l’immigrato che gestisce uno stuolo di prostitute o vende stupefacenti o compie altre attività ben poco commendevoli, svolge una attività lavorativa?
“Secondo il Fisco nazionale, confortato da numerose pronunzie giurisprudenziali, poiché i proventi di queste lodevoli attività sono tassabili, in fin dei conti questi soggetti svolgono una attività socialmente utile. Conclusione sostanzialmente corretta, sotto un profilo tributario, ma non proprio coerente con la ratio della Convenzione che intendeva invece agevolare l’attività lavorativa, ovviamente lecita, di immigrati, anche per assicurare uno sviluppo sociale ed economico del Paese, ove questi soggetti intendevano svolgere la loro attività.
Ma le curiosità previste da questa fondamentale Convenzione non sono finite; ad esempio, il lavoratore migrante, per attività lecite si intende, può diffondere opinioni od informazioni di qualsiasi natura, secondo le tradizioni culturali del Paese di origine, sempre che queste attività non ledano gli altrui diritti, o potrebbero mettere in pericolo la sicurezza nazionale dello Stato nel quale l’emigrante si trova, ovvero potrebbero essere il mezzo con il quale suscitare sentimenti di odio nazionale, razziale o religioso (art. 13 Convenz. ONU del 18 Dicembre 1990)”.
Ma lo spirito di questa Convenzione è stato poi ben interpretato?
“Tutte queste previsioni sono rimaste inascoltate ed anzi sistematicamente eluse, perché il loro sostanziale rispetto avrebbe potuto significare, per taluni, un comportamento persecutorio nei confronti dell’immigrato, al punto tale che il senso di queste regole generali è stato capovolto, in quanto è stato inteso come atteggiamento persecutorio e discriminatorio quello che, ad esempio, pretendeva da tutti e quindi anche dall’ immigrato, il rispetto delle tradizioni religiose del nostro Paese.
Prima lei parlava di “arbitrio e palude maleodorante”. Se ne può uscire?
“La palude maleodorante che abbiamo qualificato come arbitrio ha ormai occupato gran parte della società civile, sia, e con molta probabilità, per la difficoltà di trovare norme precise che possano attuare le regole generali fissate da questa o da quella Convenzione, sia perché il mondo della politica talora preferisce non fare, onde evitare possibili critiche, lasciando ad altri il compito di intervenire, quando forse, qualsiasi eventuale intervento sarà tardivo ed inutile.
Certo che scorrendo le tante Convenzioni che hanno inteso migliorare i rapporti fra gli Stati del pianeta, ci si imbatte, talvolta, in alcune disposizioni, che possono suscitare sentimenti contrastanti e cioè soddisfazione o preoccupazione”.
Ci può fare un esempio?
A Ginevra nel 1949 (Conv. 12 Agosto 1949 sul trattamento dei prigionieri di guerra) gli Stati si sono riuniti per dare una migliore disciplina al triste fenomeno dei prigionieri di guerra, che era finita da pochi anni, e la speranza di tutti era quella che questa terribile catastrofe fosse solo un ricordo.
Dunque questa Convenzione si è posto un problema assolutamente nuovo perché, per prigioniero di guerra si è inteso non solo il membro delle forze armate di una Parte belligerante, ma anche (art.4 par.2) “il membro di altre milizie e di altri corpi volontari, compresi quelli dei movimenti di resistenza organizzati, che operino fuori od all’interno del proprio territorio”.
E’ chiaro il riferimento ai gruppi rivoluzionari che operavano, allora, nei territori delle ex colonie, ma è lecito domandarsi se, finita l’epoca coloniale, sia configurabile ancora un movimento di resistenza organizzato (ed armato) e se quindi, taluni terribili fatti di sangue, che vengono giustamente definiti come terroristici, non potrebbero invece, essere qualificati come attività bellica compiuta da gruppi di resistenza, con la conseguenza, di non poco conto, che in caso di arresto di una di queste persone, a costui dovrebbe essere assicurato lo stesso trattamento previsto ad un soldato di uno Stato sovrano, riconosciuto dalla Comunità internazionale”.
Ma le conseguenze di questa interpretazione mi sembrano molto gravi
“Le conseguenze sarebbero paradossali ed intollerabili da chiunque, ma la ricerca affannosa di nobilissimi principi, dimenticando la situazione di fatto nella quale questi dovrebbero operare, può determinare queste conseguenze, alle quali forse potremmo porre rimedio se il buon senso regolasse le scelte della politica, nazionale ed internazionale. Anche se queste scelte, nel breve, potranno suscitare molte lamentele ed insoddisfazione, ma nel tempo daranno a tutti la convinzione di vivere in una società regolata davvero da una legalità concreta ed effettiva”.