Coronavirus

Covid, c’è chi ha immunità innata e non si ammalerà mai. Lo studio

di Antonio Amorosi

La scoperta per debellare il Coronavirus: molti individui hanno immunità innata, dovuta a infezioni con il Citomegalovirus e l’influenza.Saranno loro a salvarci

Una buona notizia: esiste dentro di noi un’immunità pre-esistente alla Sars Cov-2, una parte della popolazione, sottoposta ad indagine clinica, ha questa “solida” immunità. Lo conferma uno studio, pubblicato a fine giugno dalla prestigiosa rivista Nature, dal titolo “Immunodominant T-cell epitopes from the SARS-CoV-2 spike antigen reveal robust pre-existing T-cell immunity in unexposed individuals”, a cura di un gruppo di ricercatori che si occupano di genetica, in larga parte indiani ma anche statunitensi.  

Il lavoro conferma studi precedenti: molti individui hanno una immunità innata verso il Coronavirus del Covid 19, dovuta a precedenti contatti con altri virus come il Citomegalovirus e quelli influenzali.

Tutto merito delle famose cellule T, come riportato in altre ricerche, tra cui una pubblicata sempre su Nature a marzo e raccontata da Affaritaliani.it.

Per chi viene contagiato, le cellule T killer potrebbero fare la differenza tra un'infezione lieve e una grave che richieda cure ospedaliere, ha sostenuto al tempo l’immunologa del Karolinska Institute di Stoccolma Annika Karlsson: "Se sono in grado di uccidere le cellule infettate dal virus prima che si diffondano dal tratto respiratorio superiore, ciò influenzerà la tua sensazione di malessere”. Esiste una memoria preesistente di cellule T nel 20-50% che protegge le persone dal Coronavirus. Per lo studio pubblicato su Nature c’è una parte della popolazione destinata a non ammalarsi mai. “I nostri risultati suggeriscono”, spiegano i ricercatori nel nuovo studio, “che è probabile che le cellule T reattive SARS-CoV-2 siano presenti in molti individui a causa della precedente esposizione a virus influenzali e CMV (Citomegalovirus, ndr)”.

Numerose ricerche hanno riportato l'immunità preesistente delle cellule T in donatori non esposti utilizzando pool di peptidi spike e hanno attribuito la risposta alle cellule T che riconoscono epitopi da comuni coronavirus che causano il raffreddore a cui è esposta un'ampia parte della popolazione globale.

La risposta precoce elimina il virus ma gli studiosi hanno fatto un’analisi degli “epitopi”. Ma cosa sono gli “epitopi”? Sono le entità molecolari più piccole riconoscibili dal nostro sistema immunitario. E, in estrema sintesi, questi attivano le cellule T che uccidono il virus, a loro volta generando un’immunità che dura anni se non sempre. L'identificazione di ulteriori “epitopi” immunodominanti nella SARS-CoV-2 e nei relativi TCR affini (il riarrangiatore genico del recettore delle cellule-T) può diventare un potente strumento di monitoraggio immunitario per proteggere la popolazione dalla SARS-CoV-2. Ma non solo. Per la popolazione che fosse priva di questi agenti attivanti si può pensare a come trasferirglieli. “In primo luogo”, spiega il gruppo di scienziati, “robusti epitopi attivanti le cellule T CD8 possono essere formulati come vaccini di seconda generazione per la protezione a breve e lungo termine contro l'infezione virale”.

In più la ricerca dimostra che “una robusta risposta immunitaria nei pazienti convalescenti, dimostrando che questi peptidi sono riconosciuti dai pazienti infetti”. Cioè i pazienti infetti riescono ad “acquisire” gli epitopi che poi attivano le cellule T senza difficoltà e con effetti positivi sull’infezione. “Inoltre, i nostri risultati sollevano la possibilità che molti individui portatori di cellule T con esperienza di antigene contro altri virus possano essere naturalmente protetti contro COVID-19 senza una precedente infezione da SARS-CoV-2”.

“Nonostante l'immenso carico clinico”, scrivono i ricercatori, “mancano vaccini efficaci con benefici terapeutici a lungo termine. La maggior parte delle attuali strategie di vaccinazione impiega la generazione di anticorpi ampiamente neutralizzanti, tuttavia, la risposta anticorpale della mucosa a molti virus respiratori è di breve durata e diminuisce con l'età. Al contrario, diversi studi sui virus respiratori hanno mostrato la presenza di robuste risposte delle cellule CD8-T virus-specifiche che hanno dimostrato di durare per decenni. Pertanto, i progetti di vaccini per i virus respiratori emergenti necessitano di considerazione e inclusione razionale di epitopi CD8 per conferire resistenza a lungo termine”.

Abbiamo quindi altri strumenti e più profondi per proteggerci dal virus, grazie a questa immunità persistente e innata, presente in una parte non irrilevante della popolazione.

L'identificazione di ulteriori epitopi immunodominanti nella SARS-CoV-2 e nei relativi TCR affini può diventare un potente strumento di monitoraggio immunitario per valutare l'immunità protettiva contro SARS-CoV-2 nella popolazione e limitare al massimo la diffusione virale nella popolazione globale.