Costume
Moda, il Made in Italy riparte dalla Cina: ora Pechino punta sulle pmi


Intervista di affaritaliani.it al presidente di Assomoda, Giulio di Sabato
Proprio mentre Coldiretti denuncia l’attacco al made in Italy da parte dell’Europa, con vino annacquato e tagli ai programmi di promozione per disincentivare l'acquisto di carne e salumi italiani, avanza la richiesta del bello e ben fatto italico da Cina e Usa. Durante la pandemia nel mercato americano il settore eno-food aveva trainato I consumi con la campagna “stay home and cookitalian promossa dall’ambasciata italiana a Washington in collaborazione con nove consolati, che avevano pubblicato su Facebook 11 video di ricette italiane preparate in casa da personalità come Lidia Bastianich Isabella Rossellini.
Ora riparte anche la moda. A darci un quadro della situazione globale è Giulio di Sabato, presidente di Assomoda, titolare di una delle showroom più importanti di Milano, Sari Spazio e di recente insignito dell’onorificenza di cavaliere dell’ordine al merito della Repubblica Italiana per il contributo dato all’intero comparto. Soprattutto per la sua capacità di trovare mercati e sinergie a supporto del made in Italy.
La Cina punta sul made in Italy dei medio piccoli
“La Cina punta sul made in Italy delle pmi: ovvero piccole collezioni fatte in Italia a prezzi interessanti -dice l’imprenditore ad Affaritaliani- Questo vale anche per i negozi multimarca, che sono cresciuti molto negli ultimi anni e ora puntano sul made in Italy delle piccole aziende. Io ho stretto un accordo con il gruppo Greenland, numero 171 della classifica Fortune delle 500 aziende più grandi al mondo: vogliono sviluppare un concept store multibrand, si chiamerà Casa Italia e sarà un meraviglioso mall”. Di Sabato è stato nominato presidente di Best Showroom e collaborerà con Greenland come ideatore e promotore della sezione moda del gruppo per Italia ed Europa.
Insomma, per una volta uniti si vince. E non potrebbe esserci migliore garanzia della grinta di Di Sabato, che si mostra un po’ perplesso sulla possibilità di fare campagne vendita in digitale. “Un conto è comprare una giacca su un sito, un altro è fare ordini per centinaia di migliaia di euro. La moda è diversa da altri settori. Noi abbiamo usato il web per la comunicazione e le adv, come vendita è un altro paio di maniche. Fra l’altro io sono anche vice presidente regionale del sindacato degli agenti di commercio, la Fnarc. Per noi l’e commerce B2B è stato non dico un flop, ma non certo quanto ci aspettavamo”.
Ma gli imprenditori non si arrendono e trovano strategie consone al nuovo equilibrio in bilico fra chiusure improvvise e picchi pandemici.