Cronache

Coronavirus, subito il processo telematico.Gli avvocati aprano all'innovazione

di Giuseppe La Scala (avvocato)*

Gli avvocati penalisti hanno vibratamente protestato contro l’ipotesi di proseguire nella sperimentazione delle udienze “a distanza” (e/o telematiche) che sono state introdotte, durante questa pandemia, in certi passaggi del procedimento.

Poiché nulla capisco di diritto (e pratica) del processo penale, che non bazzico mai, non mi azzardo a commentare questa presa di posizione.

Le questioni sollevate, tuttavia, mi sembrano assai serie e di rilevanza addirittura costituzionale, in un ambito nel quale si tratta dell’accertamento di fattispecie di reato e delle conseguenti (gravi) sanzioni, anche con effetti sulla libertà personale degli indagati.

Ho poi letto, però, che anche la voce degli avvocati civilisti si è unita a quella dei colleghi penalisti. Lamentando anch’ essi la possibile introduzione dell’udienza telematica; nel processo civile, però. Su questo tema, invece, penso di avere una qualche competenza.

Sono infatti un “avvocato di tribunali” e da quarant’anni l’attività giudiziale è prevalente nella mia esperienza professionale.

E da quarant’anni assisto - senza mai riuscire ad abituarmi e a rassegnarmi – a quel vuoto e inutile rito che è rappresentato dalla gran parte delle udienze civili nei giudizi ordinari.

Davanti a giudici che sono di norma impreparati sulla causa in discussione, gli avvocati che affollano con decine di altri colleghi l’ufficio del magistrato, arrivato il loro turno e raggiuntane a gomitate la scrivania per ottenerne un minimo di formale attenzione, avanzano le proprie istanze (solitamente scontate e puramente procedurali) per trascinare stancamente il processo – tra un atto e l’ altro, non di rado inutili – alla sua conclusioni.

Nonostante le non poche riforme che in questi quarant’anni si sono susseguite, la solfa non è mai sostanzialmente cambiata.

E sempre isolate sono state le voci nell’ avvocatura (e nella magistratura, per essere onesti) che di ciò si sono lamentate, invocando concentrazione, maggiore immediatezza e oralità.

E’quindi chiaro che l’andazzo tradizionale va benissimo a tutti: dal giudice che lavora quanto (gli) basta, all’avvocato che può vivere la mattina di udienza come una tranquilla routine.

Magari facendo credere al cliente di avere sapientemente sventolato la toga per lui in una drammatica ordalia dialettica.

Insomma: queste udienze sono di solito una gran perdita di tempo; e se proprio non le si può/vuole abolire, almeno sbrighiamole con modalità più correnti (e che non limiteranno l’effettivo contraddittorio; anzi).

In questi anni l’esperienza delle mediazioni telematiche è stata eloquente al riguardo, e si compendia in queste poche parole: impensabile farne a meno.

Pensavo quindi che l’avvocatura - così come vorrei fosse con lo smart working –vedesse nella forzata spinta all’udienza a distanza un’occasione imperdibile per accelerare la strada verso il vero processo telematico (e oltre l’attuale, mera, “cancelleria telematica”).

Ma mi ero illuso.

La categoria più conservatrice e arretrata nel nostro Paese ha esibito il suo sdegno.

Basta con questi conati rivoluzionari!

Si torni al più presto alle nostre belle udienze civili; si tornino a chiedere vis à vis, frementi di sapienza giuridica, i termini per il deposito delle memorie ex 183; si celebrino nuovamente alla personale presenza dei patroni delle parti le emozionanti udienze di precisazione delle conclusioni.

E basta con la digitalizzazione! Ma cosa si pretende? Che un avvocato sappia usare una piattaforma di video conferenza e sappia condividere su di essa, verbalmente e per iscritto, le proprie argomentazioni?

Quando è troppo, è troppo.

E così i civilisti italiani hanno declinato al contrario il celebre motto mussoliniano, che invitava retoricamente i suoi seguaci a dargli man forte nell’ avanzata e a liberarsi di lui se invece avesse osato ritirarsi.

Gli avvocati preferiscono di gran lunga uccidere che li sprona ad avanzare, e a seguire chi indietreggia.

Scommettiamo che quando questo modo di intendere la professione morirà, nessuno nella società civile – non dico lo vendicherà – ma neppure lo rimpiangerà?

*Senior Partner La Scala Società tra Avvocati