"Ecco come nasce il complottismo", parla Ciuffoletti
"A livello europeo l'Italia non ha eguali". L'intervista di Affaritaliani
Per il professor Zeffiro Ciuffoletti, «l’ Italia cede alla retorica del complotto come una colonna cade nel burro». Docente di storia contemporanea all'univeristà di Firenze, già nel 1993 aveva scritto un libro (La retorica del complotto, il Saggiatore) che intuiva quello che poi è stato: perché un Paese dove - in ogni dibattito pubblico - si scavano trincee, e si tira una riga tra buoni e cattivi («una visione manichea»), non poteva non diventare l'avanguardia del complottismo. Ovvero, l'anticamera dell'intolleranza. Ciuffoletti ne parla con Affari Italiani.
Professore, partiamo da qui: l’Italia è un Paese incline al complottismo.
«I complotti veri sono un po’ come le corna: ci sono sempre stati. Ma cambiano al mutare della storia: nell’età moderna avvenivano nelle corti, ora non più. Qualora ci fossero, però, non si scoprirebbero mai. Poi, certo, questo è un Paese malato della retorica del complotto: le questioni complesse si risolvono con slogan facili. Una volta questi slogan erano di natura ideologica, oggi sono addirittura peggiori: sciocche credenze che certificano l’appartenenza a una tribù».
Cioè?
«Uno appartiene a una tribù, e crede a tutto ciò che gli viene raccontato. Prima si appartiene, poi si pensa. Il caso dei vaccini è emblematico. Dal punto di vista scientifico, non dovrebbe esserci discussione. E invece si è fatta strada la retorica del complotto. Per di più sfruttata politicamente, come nel caso del M5S. Sui vaccini è nata una leggenda: e viene seguita in maniera acritica, anche a scapito della vita dei bambini».
Potremmo definire il complottismo una sorta di religione laica?
«Sì, perché credere in un complotto significa semplificare ciò che è complicato. E le religioni, così come le ideologie, facevano esattamente la stessa cosa: venivano creati Dio e il Diavolo, il Bene e il Male, i Buoni e i Cattivi. Era una visione manichea: che infatti è l’aspetto predominante del mondo complottista. Ora: viviamo in una realtà molto più complessa e velocizzata rispetto al passato – avendo a disposizione una quantità di informazione impensabile, per esempio, fino a 50 anni fa - e per questo la retorica del complotto si diffonde, dilaga. E’ la negazione stessa della discussione approfondita».
Più le notizie sono invasive, in un certo senso, e più è facile cedere alla tentazione della semplificazione.
«Max Weber, senz’altro una buona lettura, diceva che il sacro, nelle società altamente secolarizzate dove la scienza dovrebbe dominare, riemerge. Cioè decade un sacro antico e si manifesta un sacro nuovo. Può essere una fede politica che si presenta in forma religiosa: i seguaci di alcuni partiti, ricordiamocelo, erano come fedeli di una “chiesa”. Quello che sosteneva il partito era preso come una verità assoluta. Ecco: le analogie, con chi crede nella retorica del complotto, ci sono. No?»
E che differenza c’è tra le ideologie di ieri e il complottismo di oggi?
«Be’, sia la fake news del giorno sia la tribù complottista del momento sono effimere. Lasciano il tempo che trovano: presto o tardi, o magari il giorno dopo, saranno sostituite da un’altra fake news e da un’altra tribù. Le vecchie ideologie, invece, a cui si ispiravano i partiti, ben strutturate, prima di essere demolite hanno resistito per decenni: comunque fornivano spiegazioni che avevano una coerenza di fondo. Purtroppo oggi, in qualche modo, si sono liquefatte la società, le modalità di ragionamento, le agenzie di formazione (scuola, famiglia, ecc.). La retorica del complotto nasce da qui, da una base di problemi già sedimentata».
Un’osservazione: i cattivi non hanno mai un volto.
«E’ naturale. I cattivi vengono identificati sempre con forme generiche. Entità collettive, più o meno difficili da decifrare: dai massoni agli ebrei, guardando al passato, fino al Palazzo e alla Casta di oggi. Ma anche per il Fascismo, del resto, c’era un complotto Giudo-Pluto-Massonico. E per il Comunismo un complotto capitalistico e imperialistico».
Uniamo i puntini: da una parte una semplificazione spesso esasperata, dall’altra l’esigenza di individuare i colpevoli. Tutto questo è l’anticamera dell’ intolleranza?
«Altroché. E aggiungo: se l’Italia dev’essere considerata un Paese incline al più insensato complottismo è perché negli ultimi 25 anni si è scelto di abbracciare il modo più barbaro per risolvere questioni ineludibili, come la gestione della globalizzazione. Si è voluto dividere il Paese in santi e reprobi, guardie e ladri, buoni e cattivi. La retorica del complotto a cui assistiamo oggi, quasi quotidianamente, si è sviluppata in seno alla politica italiana».
Non è un fenomeno solo italiano, però.
«E’ molto esteso, infatti. Pensiamo alla Francia, o agli Stati Uniti. Ma l’Italia cede alla retorica del complotto come una colonna cade nel burro. A livello europeo non abbiamo eguali».
@Simocosimelli