Cronache

Enzo Tortora, dove eravamo rimasti? Oggi si chiederebbe "ma qui, esattamente, come ci siamo arrivati?"

di Gabriele Di Marzo

Ci sono corde che non fanno quasi rumore, forse nullo. Corde che stringono forte, segnando la fine di un percorso. La fine della vita, dello sguardo all’orizzonte, degli occhi socchiusi all’invadente e anche, a volte addirittura fastidiosa luce del sole. Corde al collo messe per disperazione. Corde, di coraggio, sulla via dell’eterna sconfitta. 

Ci sono salti nel vuoto che fanno un rumore assordante. Ci sono colpi secchi, in un millesimo di secondo, sparati per scandire la fine. Per dire basta. Ora basta. Sofferenze cadute nel baratro del buco nero di una vita senza più speranza. La fine di una vita, la ricerca di una giustizia eterna in un mondo di malagiustizia terrena. 

33 anni fa moriva Enzo Tortora, ed io non ero nemmeno nato. Con il senno di poi, quello di oggi, è facile sentenziare. Con la verità in tasca,  è facile dire che Tortora era completamente innocente, che il suo assurdo arresto e la conseguente detenzione, per sette mesi, furono un errore madornale. Oggi è facile, 33 anni dopo. Non un giorno, 33 anni. È facile per me, per tutti. È facile per chi non ha mai guardato il vuoto di un balcone alla ricerca di una giustizia eterna, salvo poi voltarsi di scatto e centrare gli occhi del proprio bambino,  sperando ancora in quella terrena. È facile per noi. Non lo è stato per lui, per loro. 

Non è stato facile per Tortora che ha gridato, senza mai arrendersi, la sua innocenza. In un sistema contorto in cui chi dovrebbe dimostrare la presunta colpevolezza di un individuo, incastra sacro e profano per affermare la tesi senza antitesi. Per paura del giorno dopo, quello in cui si chiede, umanamente, scusa. La riscrivo: per paura del giorno dopo, quello in cui si dovrebbe chiedere, umanamente, scusa. Ho aggiunto il condizionale, per dovere morale. 

Quella moralità che non hanno mai usato con Tortora. Dopo 7 mesi di carcere, dopo una condanna a 10 anni prima e, per fortuna di giustizia, doppia assoluzione dopo. Quella falsa morale che ha processato il conduttore di Portobello già il giorno uno. Quello dell’arresto. La giustizia terrena, paradossalmente, ha saputo fare di meglio. I suoi colleghi, carta stampata e non, allora si divisero. Come spesso accade, anche oggi. E non è un caso se io stia scrivendo questa riflessione proprio su questo giornale. Perché il garantismo è una medaglia con una sola faccia, quella della ricerca della verità. Quella più difficile, ma forse moralmente corretta. 

Ed oggi immagino Tortora, leggendo delle novità sulla magistratura italiana, che in una tv a colori entra, in punta di piedi, nelle case degli italiani. Il suo celebre ‘’Dove eravamo rimasti?’’, sarebbe ormai condito di troppo, tanto ottimismo. Lui, con quel sorriso di sofferenza, oggi direbbe: ‘’ma qui, esattamente, come ci siamo arrivati?’’. 

E me lo chiedo anche io. Ci siamo arrivati, forse, non avendo mai chiesto scusa? Non avendo capito che dietro un nome c’è un anima, una dignità, una persona e anche una famiglia? Ci siamo arrivati non avendo capito che dietro un processo mediatico, dietro un titolo dei soliti giustizialisti, c’è sofferenza. E forse ci siamo arrivati non avendo intuito che l’accusatore  incallito non può più essere, se non punito, quantomeno promosso. E ci siamo arrivati, addirittura, non accorgendosi che indipendenza non vuol dire impunità. E accanimento giudiziario non vuol dire forza, ma più probabilmente assenza di umiltà e, qualche volta, competenza. 

Caro nonno Enzo, e qui la licenza non è solo anagrafica, oggi ti chiedo io scusa. Perché la mia generazione non sa, con molta probabilità, dove eravamo rimasti. E fa difficoltà, oggi, a capire dove siamo e come sopratutto come ci siamo arrivati. E forse poco ci importa, perché l’Italia è sempre più il Paese della memoria corta. Fin quando essere Enzo Tortora non tocca a noi. E siamo costretti ad aprire il nostro libro delle domande, anche se qualcuno pretende solo risposte. E le pretende subito. Alle quali, noi, saremo in grado solo di replicare con una domanda  ‘’ma qui, esattamente, come ci siamo arrivati?’’. Proprio come farebbe lui, Enzo Tortora. 33 anni dopo.