Cronache
Erba, Tarfusser censurato: “Decisione politica del sistema in decomposizione"
Su Affari la lettera aperta scritta dal magistrato milanese dopo la decisione del Csm di censurarlo per il caso Erba
Strage di Erba, il pm Tarfusser sanzionato dal Csm: “Censurato per aver fatto il magistrato. Decisione politica di un sistema giudiziario in decomposizione"
“La censura è una dichiarazione formale di biasimo contenuta nel dispositivo della decisione disciplinare”. Il nulla mischiato al niente, insomma, o almeno è quanto emerge dalla lettera aperta scritta dal sostituto procuratore generale di Milano Cuno Tarfusser, all'indomani della sanzione disciplinare decisa dal Csm per il caso della strage di Erba. Secondo il collegio giudicante il magistrato avrebbe a suo tempo violato le linee guida della Procura Generale di Milano (sanzione che impugnerà). Ecco perchè nella sua dichiarazione Tarfusser non fa altro che ribadire quanto, in realtà, è già sotto gli occhi di tutti, ossia di aver fatto unicamente il proprio “mestiere, in modo sereno e senza altri fini, se non quello di accertare la verità dei fatti”. Parole riferite ad Affaritaliani.it dallo stesso procuratore, che però chiarisce di sentirsi un mero spettatore nei confronti del caso di Erba.
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Sorge allora spontanea una considerazione, ossia che forse di “censura” si sarebbe dovuto parlare laddove l’indicazione paventata dall’allora ufficio al Procuratore di fermarsi si fosse concretizzata. Senonché Cuno Tarfusser, come scritto nella lettera che pubblichiamo integralmente su Affaritaliani.it, non si è voluto piegare a un “sistema giudiziario ormai in decomposizione, che non sento più mio”.
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Di seguito la lettera del sostituto procuratore generale di Milano.
"Ieri pomeriggio 27 febbraio 2024 la sezione disciplinare del CSM mi ha inflitto la sanzione della “censura” per avere studiato degli atti processuali, avere scritto un atto giudiziario ed averlo depositato nella segreteria della Procura generale di Milano. Insomma, per avere fatto il magistrato. La mia colpa? Non avere preventivamente informato il mio “capo” venendo così meno al dovere di correttezza verso il “capo” e violando un “regolamento interno” all’ufficio. Vero? Assolutamente no! Perché il 24 marzo 2023 perfettamente consapevole delle norme, dei ruoli, della gerarchia e consapevole della delicatezza del mio atto, ho chiesto al “capo” un incontro urgente per discutere “diffusamente di una cosa tanto delicata quanto importante su cui stavo lavorando da alcune settimane”. Ho atteso una settimana intera e, constatato che il “capo” ha ignorato la mia richiesta, ho esercitato la mia funzione di magistrato, autonomo e indipendente, soggetto solo alla Costituzione, alla legge, agli atti processuali e alla mia coscienza e il 31 marzo 2023 ho depositato l’atto nella Segreteria della Procura generale di Milano. Domanda: chi è venuto meno ai propri doveri? Colui che ha chiesto l’incontro o colei che, non solo per una settimana, ma a tutt’oggi l’ha ignorato? Per la sezione disciplinare del CSM chi l’ha chiesto, ovvero io.
Mi sembra evidente che il “buffetto” della censura che mi è stato inflitto ben poco abbia a che fare con il diritto e la giustizia, ma sia una decisione di “politica giudiziaria per via disciplinare” volta a tutelare un sistema giudiziario ormai in decomposizione. Assolvermi, infatti, avrebbe non solo delegittimato i vertici della Procura generale di Milano, ma avrebbe messo in pericolo la fallimentare politica delle nomine ai vertici degli uffici giudiziari dominata dalla perversa correntocrazia che il cosiddetto “scandalo Palamara” non ha minimamente scalfito. Per quanto mi riguarda posso solo dire che rifarei esattamente quello che ho fatto, orgoglioso di avere, anche in questo caso, esercitato il ministero di magistrato autonomo e indipendente, innanzitutto verso l’interno, prima ancora che verso l’esterno. Tra pochi mesi andrò in pensione ci andrò senza nostalgia per un mondo che non sento più mio. Posso però con orgoglio guardare indietro ad un percorso professionale, a livello nazionale e internazionale, di successo che pochi altri possono vantare e che nessuno mi può togliere.
Purtroppo, in un mondo impregnato da invidie e gelosie, il successo non viene perdonato e il merito non viene riconosciuto. Una riforma della giustizia non è più rinviabile. Una riforma seria, profonda, degna di questo nome. Una riforma che finalmente sradichi i tossici centri di potere e non si limiti, come avviene da decenni, a somministrare blandi antidolorifici ad un malato agonizzante. Sempreché una Politica seria, lungimirante, autorevole, esista e si decidesse finalmente a farla. Per me arriverà in ritardo, ma i cittadini, i nostri figli e nipoti hanno diritto ad un sistema giudiziario quantomeno decoroso".