Forteto. Parla Bambagioni: “Il Pd non abbia paura”
L'intervista di Affaritaliani.it al presidente della commissione d'inchiesta sul Forteto
Paolo Bambagioni, 55 anni, è consigliere regionale della Toscana. E’ stato tra i fondatori toscani della Margherita e del Pd. Una lunga esperienza politica lo porta, nel 2012, a imbattersi nel caso Forteto. Vicepresidente della prima commissione d’inchiesta regionale e presidente della seconda, nel giugno 2016 firma (insieme a colleghi di tutti i partiti: M5S, Lega, FI, FdI, Sì - Toscana a Sinistra) una durissima relazione di 86 pagine che denuncia «coperture politiche» a favore del Forteto. Coperture che – in un concentrato di conformismo e negligenze – hanno permesso a Rodolfo Fiesoli di «istituzionalizzare» una comunità al cui interno ragazzi disagiati venivano abusati sessualmente. Per oltre 30 anni. Il Pd, il suo partito, lo critica, lo isola. Lui invece punta i piedi: e va avanti. Passato il testimone al Parlamento, e preso atto del verdetto giudiziario in corso, oggi non smette di condannare «una storia orrenda». Ne parla in una lunga intervista con Affari Italiani. E si parte dall’attualità, dal voto in consiglio regionale dell’11 aprile.
Setta di Stato, una puntuale ricostruzione del caso Forteto, non andrà al Salone del Libro di Torino nello spazio allestito dalla Toscana. Tutto il gruppo del Pd regionale, tranne lei, ha votato contro la proposta. Considerata fuori tema. Gli autori hanno parlato di censura.
«Sostanzialmente sì. E’ stato un voto molto deludente. Nelle ultime due legislature, seppur con qualche sofferenza, il consiglio regionale si è espresso due volte condannando il Forteto. L’ ultima il 27 luglio 2016, quando è stata votata all’unanimità una risoluzione a seguito della nostra inchiesta. E posso dire che in quelle occasioni c’è stata la volontà di non girarsi dall’altra parte, denunciando anni e anni di abusi sessuali».
Però?
«Però con l’esclusione del libro riemerge un atteggiamento culturale che punta al diniego, al contrasto verso tutto ciò che evoca il Forteto. Questa storia dovrebbe essere sdoganata nella politica toscana. Noi della commissione, nonostante l’appartenenza a partiti politici diversi, lo abbiamo sostenuto con forza. Invece si cerca ancora di parlarne il meno possibile, di rimuovere il tutto».
Ma che cos’è stato il Forteto per la Toscana?
«Una comunità istituzionalizzata. Talmente ben voluta e ben creduta da proiettare su di sé una fiducia incondizionata».
Sembra quasi il Pd voglia farsi male. Perché questa resistenza?
«E’ difficile spiegarselo. Le persone che continuano a mantenere una linea di resistenza sono anche di una generazione - quella renziana, della rottamazione, della svolta - che potrebbe facilmente prendere le distanze dal passato. Invece niente. Prevale un senso di appartenenza ideologico. Per troppi anni sul Forteto è stata raccontata una storia. C’è stata una narrazione, una mitizzazione. Alcuni soggetti che rinunciavano al denaro, alla materialità, ai legami famigliari per occuparsi – in comunione con la natura - di minori svantaggiati».
I fatti, poi, hanno dimostrato il contrario.
«Al Forteto c’era una banda di farabutti. E alcuni sono stati attirati dal Fiesoli in un mondo perverso. Il danno ingiustificabile è che il Tribunale dei minori di Firenze abbia preso bambini cresciuti in famiglie problematiche per mandarli lì: dove, invece di essere protetti, venivano sistematicamente violentati. Ecco, questa storia qualcuno non riesce ancora a raccontarla e a raccontarsela. Un’occasione persa, credo: metabolizzare e superare il Forteto potrebbe essere un grande segno di riscatto per il centro-sinistra».
Un passaggio necessario?
«Un modo nuovo di fare politica. Intendiamoci: il sistema Toscana ha prodotto molte cose positive, a cominciare dalla sanità. E le rivendico. Il Forteto non pregiudica un’intera eredità politica. Però quanto accaduto è gravissimo. E indietro non si torna. Molti, in passato, non hanno visto o non hanno voluto vedere. C’è stata omertà. Bisogna avere il coraggio di guardarsi allo specchio. E purtroppo episodi come quelli del libro non vanno nella direzione giusta».
Per lei l’essersi messo contro il partito ha inciso?
«Sono stato molto isolato. Il processo l’ho subito più io che il Fiesoli, paradossalmente. Ma questo non è il punto, a parte la delusione personale. La politica dovrebbe tendere verso chi cerca la verità. Le vittime del Forteto la meritano».
Domanda mirata. La risoluzione del luglio 2016, sulla base della vostra indagine, conferma la denuncia a carico di tutti i volti del Forteto: cooperativa, associazione (ex-comunità), singoli imputati. La Regione si è dichiarata parte lesa e si è impegnata per «un'adeguata richiesta di risarcimento del danno». Ma richiesta a chi? Agli imputati? Alla cooperativa? All’associazione? Una formula un po’ generica. Vale ricordare che, per un errore procedurale nel processo, la coop non deve nulla alla Toscana in quanto ente. E tuttavia la commissione si esprimeva duramente contro la stessa coop. Quindi delle due l’una: per la Toscana la coop è responsabile, oppure no?
«Questo è un punto rimasto irrisolto. Pur in presenza di una condanna politica pesantissima (la nostra) e una condanna in secondo grado (da confermare in Cassazione), di fatto, la coop continua a rimanere nelle mani del Fiesoli e dei suoi fedelissimi. Si è cercato di dimostrare che coop e comunità erano separate. Ma anche un bambino capisce che non è vero. Se si è creato un patrimonio aziendale consistente è perché in 30 anni cento persone hanno lavorato gratis (o quasi). Quella è una realtà frutto dei sacrifici di molte vittime. Ora: economicamente rimane importante per il Mugello. Ma proprio per questo dovrebbe essere messa in mani sicure. Infatti nella relazione abbiamo chiesto il commissariamento, serve un vero cambio di gestione».
L’unica soluzione per un rilancio?
«Il Forteto è una setta: e nelle sette se cade il capo, cioè Fiesoli, cadono tutti. Il commissariamento non dev’essere considerato uno spettro, non è sinonimo di licenziamenti scriteriati. Anzi. Senza, si va diretti alla chiusura. Come si fa a comprare prodotti se si sa che dietro quel marchio c’è una vicenda del genere?».
Quindi la Toscana dovrebbe chiedere risarcimenti alla coop?
«Quella è la cassa. Anche perché l’associazione (ex-comunità) o la fondazione (un altro ramo del Forteto, ora chiuso) non credo abbiano molte risorse. Per adeguati risarcimenti, dopo un taglio netto che rilanci una struttura che per il territorio ha un peso commerciale, si dovrebbe valutare l’ipotesi della vendita della coop».
Sul piano nazionale, quanto era profondo il tessuto di relazioni di Rodolfo Fiesoli?
«Voglio essere chiaro. Il radicamento nel territorio era (ed è) molto forte. A livello nazionale basti l’esempio di Bruno Vespa: che a Porta a Porta, nel 2002, dichiarò in diretta di aver subito pressioni per non parlare del Forteto. Anzi, di non aver mai subito pressioni di quel tipo. Del Forteto non si doveva fare nemmeno il nome».
Vespa che poi, nel giugno 2016, viene in commissione da voi e ricorda quelle chiamate («politiche e non») ma non chi chiamava. Ha voluto non ricordarsi, diciamo.
«Sì. Anche se comunque in quella puntata trattò vari argomenti. Non si tirò indietro. Ma al di là di questo, sul peso del Forteto c’è una questione che va sottolineata».
Quale?
«Se dovessero commissariare la struttura, un fiore all’occhiello delle cooperative rosse (anche se negli ultimi anni ha gravitato anche attorno a quelle bianche), si aprirebbe un vaso di Pandora. Quello del mondo delle coop, appunto. E nessuno ha interesse nel farlo. Purtroppo tra i tanti difetti italiani – e toscani – c’è anche questo: di coop vere che perseguono i fini dichiarati ce ne sono poche. Molte, invece, esistono per coprire altri affari, altri giri. Nella migliore ipotesi dietro c’è un imprenditore privato, che tradisce lo spirito cooperativo. Nelle peggiore, si va sul terreno del malaffare».
Sul Forteto avete invocato l’intervento del Parlamento (commissariamento e commissione d’inchiesta, con poteri giudiziari). E’ fiducioso?
«Be’, a Roma non può esserci la stessa sollecitazione che abbiamo avuto noi nel fare tante udienze, nell’ascoltare tante testimonianze. Quando nel novembre parlai col presidente Grasso, consegnandoli la nostra relazione, cercai di caricarlo della responsabilità morale. Mi disse che capiva la situazione. E gli risposi che sarebbe stato utile, da parte sua, spingere per aprire un dibattito. Per me è fondamentale che il Ministero dell’economia sblocchi le pratiche del commissariamento».
Che è la vostra richiesta principale, quindi?
«I miei colleghi vogliono anche una commissione parlamentare. Visto le reticenze incontrate in 9 mesi di lavoro. Però le due inchieste regionali già fatte sono molte dettagliate. E un’ulteriore indagine, semmai, potrebbe avere lo scopo di rendere il Forteto un tema di respiro nazionale. Il commissariamento, invece, è fondamentale: dà una spallata al passato. Il Forteto è riuscito a salvare la coop, noi non avevamo il potere di agire. E su questo punto ha inciso, credo, anche la presidenza di Matteo Renzi».
In che senso?
«Renzi, quand’era al potere, quello che ha voluto fare l’ha fatto. Viceversa, del Forteto se ne è voluto occupare il meno possibile. Senza intenzione di coprire, certo, ma pure senza la volontà di agire. Non dimentichiamo che Fiesoli è stato arrestato nel dicembre 2011. Un mese prima il sindaco di Firenze, cioè Renzi, lo stava premiando (nel Salone dei Cinquecento, nell’ambito della manifestazione TEDx) in qualità di esperto di educazione minorile che si era distinto per motivi sociali».
Ma che legami ha avuto la sinistra italiana col Forteto?
«In politica c’è molta superficialità. Il Forteto è nato in Toscana, e ha cercato accordi col la parte politica predominante. Fosse stato in Lombardia avrebbe cercato accordi con il centro-destra».
Il Forteto, però, nel contesto degli anni ’70, ottenne successo anche perché condensava in sé le idee di una certa sinistra progressista. «Un sistema a metà tra Cristo a Marx», usando le parole dell’avvocato difensore di Fiesoli.
«Sì, è vero. Soprattutto inizialmente. E’ stata una grande mistificazione in questo senso. Il Forteto era una delle poche realtà che, pur non appoggiandosi alla chiesa, si occupava di persone disagiate. La sinistra ne ha fatto un vanto. Tuttavia bisogna sottolineare anche le capacità affabulatorie del Fiesoli. A Prato, quando era giovane, tutti sapevano quali fossero le sue pulsioni sessuali. Ma era considerato il “grullo” del paese. In seguito, invece, è stato capace di vendersi agli altri in maniera sorprendente: organizzando congressi, dedicando e presentando libri, intrecciando rapporti. Avvicinandosi sempre di più alla politica, non solo locale. Prima del Forteto lo chiamavano “Foffo”, dopo il “Profeta”».
Non c’è un grande burattinaio dietro al Forteto, però.
«Lo abbiamo cercato, sì. Ma senza trovarlo. Per me è uno schema da cui bisogna sganciarsi. Il Forteto ha avuto un rapporto malato col Tribunale dei minori di Firenze. Gian Paolo Meucci, padre del diritto minorile italiano, ha una grande responsabilità in tutto questo. Poco prima di morire – spero in buona fede - diede fiducia a quella realtà. Negli anni ’80 Fiesoli venne condannato per maltrattamenti e lui sostenne pubblicamente che la sentenza era politica, e non andava rispettata. Come prova delle sue convinzioni affidò al Fiesoli, immediatamente, un bambino down. Creò un precedente. E data la deferenza nei suoi confronti, dette ai giudici una giustificazione verso tutti i dubbi che per decenni sono stati avanzati».
Oltre che un tono istituzionale.
«Nessuno, in realtà, poteva sapere fino in fondo cosa accadeva lì dentro. Facciamo chiarezza: i bambini non venivano abusati da soggetti esterni. Al Fiesoli interessava mantenere le coperture per un sistema chiuso dove lui spadroneggiava, assicurandosi bambini con cui avere rapporti sessuali. Cercava appoggi come e dove poteva. E il Forteto era diventato una passerella politica obbligata».
Un sospetto non risolto?
«Una volta Fiesoli esce dalla comunità da solo, dice ai suoi che non possono seguirlo. Di solito per gli incontri esterni i soci della comunità si muovevano in due-tre, almeno. Ma quella volta no. Non sta fuori tanto, quindi non fa un viaggio lungo. E quando torna dice: “Ragazzi, ci è andata bene: qua non ci tocca più nessuno”. Ecco, abbiamo provato a capire ma non è emerso nulla. Sono passati tanti anni, del resto. Naturalmente bisogna escludere alcune delle piste battute, però ci sono stati rapporti di scambio di favori non del tutto emersi».
@Simocosimelli
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