Cronache

G8 Genova 2001, le foto di quelle giornate e la voce di un fotoreporter

di Elisa Scrofani

G8 Genova, vent'anni dopo in circa 120 scatti di 4 fotografi che erano lì. Ne abbiamo parlato con uno di loro

G8 Genova 2001, dal 19 al 22 luglio si scrive una delle pagine più buie della storia italiana recente. Il racconto della fotografia: ne abbiamo parlato con il fotoreporter Francesco Acerbis

Fu uno degli eventi più fotografati e mediaticamente organizzati dell’epoca. Migliaia i giornalisti, gli inviati televisivi in loco per documentare. Lì per delle testate italiane e estere erano anche i fotoreporter Elio Colavolpe, Luana Monte, Luca Nizzoli Toetti e Francesco Acerbis. Quest'ultimo in occasione del ventennale ha inaugurato 20G8 – Ferite, Memoria, Futuro. Nei locali della galleria Still a Milano (dal 19 al 24 luglio, a ingresso libero) più di 120 foto (alcune in fondo all'articolo), scattate da Acerbis e dai suoi colleghi, ci proiettano in quei tragici giorni. Erano in corso il vertice dei leader dei paesi più industrializzati (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito, Russia, Stati Uniti) e le manifestazioni dei movimenti no global con il Genoa Social Forum programmate per il summit.

Lei era lì da fotoreporter. Che cosa ricorda?

Di quei giorni ricordo lo stupore per quello che stava accadendo, ricordo i canti e le provocazioni ironiche e innocue in piazza Dante e il silenzio spezzato degli scontri in via Tolemaide. Ma ricordo anche le riflessioni sul senso del nostro lavoro, sul senso dello Stato e su quali conseguenze avrebbero avuto quei fatti nel futuro prossimo. Tutto questo però si riassumeva in brevi scambi tra colleghi e in riflessioni silenziose tra una carica e l’altra.

Che cosa ha significato per voi?

Noi ci siamo trovati a essere testimoni, forse privilegiati, di accadimenti che stavano segnando la storia e la politica del nostro paese. Come fotografi abbiamo inseguito quel racconto che si svolgeva davanti a noi cercando di leggerne la trama nel modo più onesto e coerente per fornire non solo fotografie ma documenti che testimoniassero quello che stava succedendo.

Come nasce la mostra?

La mostra è nata dal dialogo aperto da Claudia Rotondi, docente di Economia dello sviluppo all’Università Cattolica di Milano, con me e con Denis Curti della galleria Still, sulla volontà di riportare in vita le istanze che erano in discussione dentro e fuori la zona rossa attraverso le immagini che avevamo realizzato in quei giorni.

Che cosa rimane? Quali sono le conseguenze ai giorni nostri? 

Non so se si possa parlare di conseguenze. Quello che è certo è che le ferite non sono ancora completamente rimarginate, la memoria deve essere ravvivata perché le nuove generazioni possano prenderne possesso, il futuro è ancora da costruire e questi fatti ne sono un mattone.