Cronache
Ilva: tutte le colpe dai Riva alla politica fino ai sindacati
Le responsabilità di chi ha inquinato ma anche di chi invece di immaginare il futuro ha pensato solo al breve termine
C'è chi ha inquinato. Chi ha chiuso gli occhi. Chi ha provato a nascondere la polvere sotto un tappeto ormai ridotto a brandelli. Chi non deciso. Chi ha scelto di non decidere. Chi ha guardato solo agli interessi economici di breve termine. Chi non è stato in grado di pensare a lungo termine. Chi non ha avuto il coraggio di immaginare il futuro. La lunga e tragica storia dell'Ilva, ora ex Ilva e prima Italsider, ha tante colpe (di diverse entità) e tanti responsabili che vanno ricercati in ambiti diversi, da quello politico a quello industriale. Il tutto sulla pelle di una città, Taranto, che simboleggia per certi versi l'Italia: il fallimento di una politica industriale, la mancanza di strategia, l'eterno rimpianto o rabbia per tutto quello che poteva o potrebbe essere e che non è stato o che ancora non è.
ILVA, LE RESPONSABILITA' DI CHI HA INQUINATO
Una storia, quantomeno la sua parte drammatica, che comincia negli anni Ottanta quando il settore siderurgico entra in una profonda crisi. Nel 1988 Italsider e Finsider entrano in liquidazione e scompaiono. L'impianto di Taranto torna all'antica denominazione di Ilva e passa al Gruppo Riva nel 1995. Ma la lunga cronologia di eventi che ci conduce fino a oggi prende il via nel 2008, quando i magistrati tarantini avviano un'inchiesta per accertare l'ipotetica incidenza dell'inquinamento causato dall'Ilva sulla salute non solo dei suoi operai ma anche dei cittadini di Taranto. Un'inchiesta che porta nel 2012 all'ordino di sequestro senza facoltà d'uso degli impianti dell'area a caldo, dopo aver prodotto una serie di dati drammatici sull'aumento delle morti e delle malattie causate dalle emissioni. Si succedono gli arresti e le accuse di disastro doloso.
ILVA: LE RESPONSABILITA' DI CHI NON HA SCELTO, O HA SCELTO SENZA UNA VISIONE DI FUTURO
Monti, Letta, Renzi, Gentiloni. Infine Conte. Sono i primi ministri che si sono succeduti negli ultimi sette anni e tre mesi senza che fosse trovata una soluzione definitiva alla questione Ilva e senza che venisse messa a punto un'idea di futuro. Una lunga serie di decreti per non cambiare nulla e lasciare lì intatti i problemi legati alla salute e all'occupazione, un dilemma che è sembrato insolubile sin dai tempi del governo Monti.
E dire che altrove, vedi Bilbao, Duisburg o Pittsburgh (per citare i casi più celebri), hanno sfruttato situazioni analoghe per rilanciare la città dando un futuro diverso con più salute, più turismo e gli stessi livelli di occupazione dell'era siderurgica. E invece il momento di per sé negativo dell'inchiesta, come spesso accade in Italia, non viene sfruttato per progettare il futuro a lungo termine. Proprio in quel momento la Cina, che ha appena lanciato la Belt and Road Initiative (o Nuova Via della Seta), si dimostra interessata al porto di Taranto. Potrebbe essere un'opportunità per immaginare un futuro senza, o con meno, acciaio, in cui Taranto possa rilanciarsi a livello infrastrutturale diventando un terminale di interconnessione tra Europa, Asia e Africa settentrionale. Le indecisioni fanno sì che Pechino si rivolga alla fine alla Grecia e al porto del Pireo, alle porte di Atene.
No, in Italia si pensa sempre all'immediato. Ecco allora i vari decreti di commissariamento del 2013, lo scudo penale nel 2015 e i Salva-Ilva. Per arrivare al coinvolgimento di ArcelorMIttal seppure, come ha ricordato Luigi Di Maio nel 2018 quando era già al Mise, una relazione dell'Anac sosteneva che l'offerta di Acciaitalia potesse essere migliore. E ora la fuga dello stesso colosso mondiale, con la scusa della rimozione dello scudo penale caldeggiata dal Movimento Cinque Stelle.
Salvaguardare stabilimento e occupazione sono state le uniche parole chiave, per certi versi comprensibilmente, anche dei sindacati. Peccato che tutto intorno, a livello globale, il mercato dell'acciaio dimostrasse e dimostri di essere in profonda crisi.
E ora? Ora si prova a convincere ArcelorMittal a restare, magari reintroducendo lo scudo penale. Oppure si provano a coinvolgere gli indiani di Jindal, o ancora qualche colosso cinese. Per tirare sempre e comunque a campare. Per idee di futuro si prega di passare altrove.
@LorenzoLamperti