Cronache

Smart Ciber, il software anti terrorismo che resta nel cassetto

di Lorenzo Lamperti
twitter11@LorenzoLamperti

L'offensiva del terrorismo contro l'Europa si fa sempre più forte e feroce. Il rischio è in aumento e riguarda tutti, ma nel frattempo progetti innovativi e potenzialmente fondamentali nella lotta al terrore vengono tenuti nascosti in qualche cassetto. E' il caso di Smart Ciber, un software messo a punto da un team guidato Marco Lombardi, docente dell'Università Cattolica di Milano.

Professor Lombardi, com'è nato Smart Ciber?

Nei primi anni dell'amministrazione Pisapia il Comune di Milano ha avuto un'ottima idea. Il tema era: esistono particolari luoghi all'interno della città di Milano che possono creare le condizioni per arrivare a manifestazioni di estremismo violento? Esistono luoghi di incubazione di possibili fenomeni terroristici? Questo era il punto di domanda dal quale siamo partiti. Il Comune, utilizzando dei fondi europei, ha chiesto a me all'Università Cattolica di dare una direzione scientifica al progetto, dandoci il supporto dell'allora comandante della Polizia Locale Tullio Mastrangelo e dell'assessore Marco Granelli. Un progetto quasi preveggente per le tematiche affrontate, visto poi quello che sarebbe successo negli anni seguenti.

Come funziona Smart Ciber?

Abbiamo costruito un modello georeferenziato, un software che raccoglieva una quantità rilevante di informazioni e variabili dai database della Polizia Locale ma anche dalle banche dati nazionali. Non solo, incrociavamo anche tutti i dati con quelli delle infrastrutture critiche come Atm, A2a, metropolitana... tutte entità cruciali per la vita della città ma che è difficile riunire tutte insieme intorno allo stesso tavolo. Incrociando tutti questi dati si otteneva la mappatura di possibili zone a rischio, con una geolocalizzazione addirittura del numero civico.

E poi che cosa è successo?

Il classico inghippo. Come molto spesso accade quando bisogna prendere decisioni concrete ci si tira indietro. Quando la ricerca sperimentale deve essere implementata su base quotidiana politica e infrastrutture scelgono spesso di bloccare tutto. Se si decide di implementare un prototipo funzionante e complesso come Smart Ciber ci sono una serie di cose da fare. Il problema è mettere tutto a routine. Purtroppo dal 2013 è rimasto tutto in un cassetto del Comune, insieme a tante altre belle idee che purtroppo restano solo progetti sperimentali.

Il Comune non l'ha più contattata da allora?

No. Per carità, il Comune fa le sue scelte, non è mio compito dare giudizi in tal senso. Posso dire che comunque Smart Ciber è un progetto estremamente avanzato sul quale comunque continuiamo a lavorare per renderlo per esempio disponibile non solo su piattaforme centrali ma anche sui palmari della Polizia Locale. Credo sia un tema di grande attualità quello della mappatura dei processi di radicalizzazione. Poi spetta a chi ci governa fare le proprie scelte.

Ma con il suo lavoro quale risposta può dare ai dubbi di partenza? Quanto è alto il rischio radicalizzazione a Milano?

Diciamo subito una cosa: a Milano e in Italia non abbiamo nessuna situazione alla Molenbeek. Non esistono città autonome dentro la città, neppure a Milano dove comunque ci sono situazioni di disagio anche forte, soprattutto dove c'è più disoccupazione e più microcriminalità. I livelli di conflittualità sociale che intercettiamo nelle grandi città italiane non sono per niente comparabili con quelle viste in Belgio. Ma l'utilità di progetti come questo è proprio quella di tenere monitorate le aree di disagio che possono poi tramutarsi in potenziale conflitto. Il terrorismo ha radici profonde e va combattuto in due modi: con le politiche di breve termine che aumentano la sicurezza (come interventi repressivi o militari) e le politiche di lungo termine che intervengono sulle ragioni per le quali qualcuno diventa terrorista. Va fatto un lavoro in parallelo, intervenire solo con una delle due modalità non serve.

L'Italia com'è messa su entrambi i fronti?

Sul breve termine non possiamo lamentarci. Abbiamo agenzie di intelligence e forze di polizia molto sul pezzo. Anche dal punto di vista delle norme e della cultura politica siamo messi meglio rispetto ad altri paesi come il Belgio. A livello europeo manca un po' di consapevolezza. Abbiamo impiegato degli anni a sdoganare il termine "guerra". Ma purtroppo la situazione è questa: stiamo combattendo una guerra. Papa Francesco l'ha definita correttamente una terza guerra mondiale a pezzetti, portata avanti in maniera ibrida da attori diversi come il terrorismo, le agenzie di sicurezza e la criminalità organizzata. Non c'è un solo campo ma centinaia di campi conflittuali. E' l'effetto della globalizzazione. Non possiamo pensare di affrontarla come una guerra tradizionale. Ci hanno venduto l'idea negli ultimi decenni che non ci sono più guerre e ci hanno reso più vulnerabili.

E' possibile e auspicabile la creazione di un'intelligence europea?

E' una cavolata, non può esistere una intelligence europea. Per definizione l'intelligence risponde ai singoli governi e segue interessi nazionali. Al massimo è possibile pianificare un più efficace scambio di informazioni ma senza un attore politico centrale a livello regionale non può esistere un'intelligence europea. Prima serve l'istituzione politica e poi arriva l'istituzione operativa. Da decenni si parla di sicurezza comune a livello europeo ma non esiste. Ma dobbiamo metterci in testa che dobbiamo collaborare molto di più, questo sì. Lo scambio di informazioni è fondamentale.

Da cittadini europei come dobbiamo reagire di fronte a questi attentati?

Si continua a ripetere come un mantra che non dobbiamo cambiare i nostri comportamenti per non darla vinta ai terroristi. Ma Il problema non è questo. Se la situazione della realtà in cui vivo è cambiata per quale ragione devo accettare come un dogma il non cambiare comportamento? Le situazioni vanno interpretate. Cambiare comportamenti non significa cambiare valori. Finché non si accetta questa semplice riflessione significa voler vivere nell'assenza di consapevolezza. Il risultato è che si vota contro le liste dei passeggeri aerei ma insieme si chiede più sicurezza. 

Che cosa dobbiamo aspettarci da qui in avanti?

Il rischio di nuovi attentati c'è e aumenterà. Non raccontiamoci bugie, il 2016 sarà peggio del 2015. Bisogna imparare a vivere col rischio. Le istituzioni hanno la responsabilità di indicare i comportamenti sicuri, e per esempio la Francia ha iniziato a farlo, e poi sta al singolo trovare la propria dimensione.

Quanto è alto il rischio in Italia?

E' inferiore rispetto all'Europa centrale ma è comunque significativamente aumentato negli ultimi due anni. Poi sugli attentati il livello di imprevedibilità è ancora molto alto. Ma su una scala di rischio da 1 a 100 direi che siamo a 60. Per ora comunque le particolarità dell'Italia non hanno generato vulnerabilità ma semmai proprio il contrario. Purtroppo è nettamente peggiorato il contesto generale.

Da quando ha origine questa ondata di attacchi all'Europa?

Noi che studiamo il jihadismo da 20 anni sappiamo che tracce della pianificazione degli attentati di questi anni sono ritrovabili in documenti anche di 17-18 anni fa. In documenti di allora proprio il 2015, il 2016 e il 2017 erano gli anni indicati come quelli in cui portare il conflitto nel cuore dell'Europa. D'altronde lo Stato Islamico è perfettamente in linea con quanto accaduto prima. Al Zawahiri voleva farlo lì, insomma non è fuori dal progetto di Osama Bin Laden.

In che modo si può sconfiggere?

Abbiamo perso la grande occasione nell'estate del 2014. Lì in meno di due mesi avremmo potuto farli fuori, poi però le condizioni politiche sono cambiate. Oggi è molto più difficile debellarlo, al massimo possiamo ridurlo e contenerlo nella zona dell'Iraq e della Siria. Ma diciamo la verità, tutto sommato nessuno vuole davvero prenderlo e toglierlo di torno. Che cosa succederebbe di quell'area in mancanza di una governance? Iraniani, siriani, russi, curdi, americani potrebbero entrare in rotta di collisione. No, si cercherà di ridurre l'Isis e mantenerlo lì in un'area circoscritta. Il problema è che nel frattempo l'Isis sta cercando, e trovano, la penetrazione in Nordafrica. C'è il grosso rischio di ritrovarci una Libia somalizzata a pochi chilometri da Lampedusa.