La magistratura e la politica: cronache attuali della terza camera
PRIMA PARTE
di Guido Salvini*
L’infinita querelle tra potere politico e magistratura non si è certo esaurita, come qualcuno pensava, con la quasi-scomparsa di Silvio Berlusconi dalla scena politica. Anzi si è in qualche modo inasprita. Non appare più una contrapposizione temporanea tra la magistratura e un Presidente del Consiglio, sottoposto a più processi e ritenuto irrimediabilmente ostile, ma ha assunto la forma di uno scontro di principio e che coinvolge in modo quasi radicale la reciproca posizione nello scacchiere istituzionale, uno scontro giocato anche sul piano mediatico con la stampa come veicolo di influenza e anche terzo protagonista.
Da mesi i mezzi di informazione ribollono di reciproci attacchi, interviste, comunicati dell’ANM quasi più visibili delle fisiologiche contrapposizioni tra governo e opposizione politica. Proviamo a mettere in fila, come se fossero gli indizi di un’indagine, qualcuno degli episodi salienti di questa quotidiana querelle, in forma non ideologica, senza dar ragione o i voti a nessuno ma cercando di capire il significato profondo del loro insieme.
Piecamillo Davigo, il nuovo Presidente dell’ANM, un'associazione privata di magistrati, si ricordi, assimilabile ad un sindacato, all’indomani della sua elezione ha affermato, con toni da polemista francese indubbiamente brillanti, che l’intera classe politico-amministrativa, e di conseguenza quella imprenditoriale, è “presunta colpevole” di corruzione e di altri illeciti simili. Detto questo la guerra, giusta o ingiusta che sia, è dichiarata. Ovviamente gli scritti e gli interventi ai convegni del Presidente dell’ANM hanno toni meno drastici ma il messaggio che arriva ai cittadini è quello delle interviste ai grandi quotidiani, il veicolo principe della comunicazione e non le analisi più raffinate dei saggi su Micromega.
Quello che pochi poi hanno notato è che chi ha fatto quelle affermazioni perentorie è un giudice e ai più alti livelli, da pochi giorni nominato Presidente di Sezione in Cassazione, e non, come invece trasmette il messaggio e come è percepito da chi lo ascolta, un Pubblico Ministero con specifiche funzioni di accusatore. Vi è da chiedersi come possa sentirsi, se giudicato in quel contesto, la Cassazione appunto, un esponente qualsiasi e anche ai minimi livelli delle categorie dei “presunti colpevoli”. E se non possa essere più che legittima la sua sensazione di non godere di tutte le garanzie cui ha diritto un cittadino dinanzi alla Giustizia (non davanti all’accusa).
Quanto all’intervista al Foglio del consigliere del CSM Piergiorgio Morosini il caso sembra essere stato chiuso anche se con imbarazzo. Ma ciò non esime dal rifletterci ormai non più a caldo. Lo sfortunato incontro con la giornalista sembra originato da una grossa ingenuità. Tale è l’abitudine dei magistrati ad avere a che fare con una stampa alleata e più che benevola che probabilmente il Consigliere del CSM non ha preso abbastanza in considerazione il grosso rischio di relazionarsi con una giornalista che da tempo sta conducendo una campagna critica nei confronti della magistratura e sopratutto nei confronti di MD, ritenuta una vera e propria “entità politica”, e cioè la corrente cui appartiene lo stesso Morosini.
Ma ciò non significa che il consigliere del CSM non abbia effettivamente espresso a ruota libera alla giornalista quello che pensava della sede istituzionale in cui è stato eletto dato che si può con un pò di astuzia mascherare un’intervista, fingendola una semplice chiacchierata, ma più difficilmente si può falsificare il contenuto e il senso generale di una simile conversazione.
Nell intervista involontaria, perché così è stato, a parte i giudizi sul referendum, sul governo Renzi e i suoi ministri “mestieranti”, giudizio che un Consigliere del CSM dovrebbe evitare, si legge anche di più: nel CSM di cui egli fa parte “tutto è politica”. E nelle nomine per i posti direttivi la sponsorizzazione di “politici, liberi professionisti, imprenditori“ oltrechè ovviamente delle correnti della magistratura prevarrebbe sui meriti, la capacità, il curriculum dei candidati e cioè sulle regole che lo stesso CSM prevede per le dirigenze. Uno scenario, tratteggiato dal Consigliere, tale da rendere i concorsi del tutto apparenti e ricorda piuttosto il tanto esecrato traffico di influenze. Nomi, nell’intervista, non ce ne sono, ma alla descrizione di situazioni simili se venisse da un amministratore di un qualsiasi Ente pubblico, magari in una casuale intercettazione, seguirebbe da parte del PM l’immediata apertura di un fascicolo.
Invece non è successo nulla. Nessuno ha chiesto al componente di un così importante organo costituzionale a quali situazioni si riferisse, certamente situazioni non inventate né da lui né dall’intervistatrice perché del tutto identiche a ciò che dicono, ogni giorno e in ogni Palazzo di Giustizia, centinaia di magistrati semplici. Con la sola differenza che i soldati semplici lo dicono in privato ma non in pubblico per non inimicarsi i capi corrente cui prima o poi dovranno chiedere qualcosa.
La querelle in merito all’intervento della magistratura come tale nella campagna del referendum è stata invece innescata da un’altra intervista, ma questa volta ragionata, rilasciata l’8 maggio dal Procuratore di Torino Armando Spataro alla sua giornalista di riferimento di Repubblica. L’argomentazione secondo cui le associazioni della magistratura dovrebbero partecipare alla campagna per il No è abbastanza bizantina: l’aumento dei poteri dell’esecutivo e la quasi scomparsa del Senato metterebbero in serio pericolo l’indipendenza del magistratura. Il suo assetto però non è toccato in alcun modo dalla riforma e quindi le grida di pericolo sembrano eccessive. Ma, lasciando da parte ogni giudizio di merito che qui non possibile approfondire, quelli che colpiscono, per usare gli strumenti interpretativi di Marshall MacLuhan, sono il mezzo e il messaggio.
Al termine del dibattito suscitato dall’intervista, nel consesso dell’ANM una sola corrente, quella di Spataro appunto, ha insistito sul diritto\dovere di partecipare in quanto tale alla campagna referendaria. l’ANM nella sua maggioranza, con una delibera equilibristica di sole quattro righe, ha deciso di non scendere in campo consentendo comunque a chiunque dei suoi associati di intervenire nella campagna a titolo personale.
Proprio qui sta però la distorsione perché l’informazione nel campo della giustizia funziona nel modo seguente. I giornali, e non solo quelli più vicini alla magistratura, concedono ampie pagine di interviste ai magistrati più noti, una dozzina, in genere i PM e alcuni capi delle correnti, spesso i due ruoli si sommano, che occupano sui quotidiani non molto meno spazio di quello di tutti i politici.
Nessuno di costoro specifica, di norma, a che titolo parla sui più vari argomenti, se a titolo personale, se a titolo del suo ufficio, della sua corrente, dell’ANM, del CSM e così via. Basta quindi che un magistrato famoso parli in una intervista di un qualche argomento e quello che dice è recepito da chi legge come il giudizio di tutti i magistrati. Nessun giornalista, forse perché è troppo faticoso e non fa fare articoli rutilanti, si prende la briga di fare quello che una volta si chiamava giornalismo di inchiesta, di bussare cioè alla porta delle altre migliaia di magistrati, centinaia solo nei Tribunali di Milano o Roma, per sapere la loro opinione. Ha parola solo la nomenclatura e la distorsione prospettica dell’informazione è fatta e aiuta anche la nomenclatura dei magistrati a riprodursi. Io invece parlo solo a nome mio, e lo dico qui.
Quello che è certo è che il voto di ottobre, anche per il momento in cui si colloca, è e sempre più sarà non solo un dibattito tecnico ma un referendum pro o contro il governo Renzi, più ancora delle recentissime amministrative e anche legato non alla riforma costituzionale ma a tutte le altre scelte che il Governo ha fatto. Prendere quindi pubblica posizione, ad esempio in un talk show, da parte anche di un singolo magistrato, con tutta la notorietà e influenza che alcuni di essi hanno, comporta una scelta politica in quanto tende ad incidere sulle scelte politiche dei cittadini. Certo in Germania e in molti altri Paesi europei nessun magistrato interverrebbe mai pubblicamente, per stile istituzionale, nella campagna per un referendum, anche meno importante.
Anche dal dibattito che ha preceduto la nomina del nuovo Procuratore capo di Milano si traggono indizi nello stesso senso, quello che vede la magistratura come soggetto che orienta in senso politico le sue scelte. Non esprimo ovviamente alcun giudizio su chi è stato nominato, che conosco comunque come un Procuratore con ottime capacità e una solida formazione anche se a tratti discontinuo a causa delle indagini che segue, tante e tutte insieme.
Quello di cui si discuteva nel corso di una procedura molto delicata, il Procuratore capo di Milano è molto più importante di un ministro e forse anche di una mezza dozzina di ministri che spesso vanno e vengono, quello che la stampa ha sempre sottolineato non era il dubbio in merito a chi, nella rosa dei candidati, fosse il più capace a organizzare un simile ufficio e avesse una preparazione specifica a gestire le persone e la programmazione del lavoro. Queste caratteristiche contavano poco o nulla. Lo ha ricordato su Panorama Cuno Tarfusser, un candidato e magistrato bravo organizzatore che, per ironia della sorte, il CSM si è anche scordato di sentire durante il procedimento di selezione. Il dibattito verteva essenzialmente non solo sul necessario livello di aggancio dei vari candidati con le correnti ma sulla linea “politica” che ciascuno avrebbe intrapreso. Per questo la supposta “prossimità” al Governo di un candidato, Giovanni Melillo, impegnato in un incarico ministeriale, ne ha comportato l’eliminazione dalla corsa. Sarebbe stato come votare il candidato dell’avversario.
*Magistrato