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Cronache
"Long Covid? Si brancola nel buio. Infermieri rischiano disturbi cronici"

"Secondo i dati ufficiali dell’Inail, ben 320mila infermieri sono stati infettati dal virus del Covid-19, dall’inizio della Pandemia fino a oggi. Ma quanti di questi, dovremmo davvero chiedercelo, soffrono degli effetti del Long Covid? Secondo un'indagine accurata a livello europeo, redatta in collaborazione con il Satse, il sindacato degli infermieri spagnoli, la media dei professionisti che nei Paesi Ue oggi soffre di postumi del contagio è di circa un sesto del totale dei contagiati. In Italia il numero attendibile è quello di almeno 20mila operatori sanitari, la maggior parte infermieri, che potrebbe essere alle prese con quella che è di fatto una vera malattia ma che, ahimè, non è considerata tale". 

"Ci riferiamo al fatto che nel nostro Paese, così come in Spagna, i sintomi legati al Long Covid non sono considerati una malattia professionale. Le assenze direttamente legate al manifestarsi di una sindrome Long-Covid, sono oggi equiparate, in Italia, alla malattia comune, sia per il trattamento economico, sia per il trattamento normativo. A carico del lavoratore interessato ci saranno gli obblighi di certificazione, con la dovuta attenzione agli oneri di avviso e preavviso immediato in caso di assenze". 

"Con un comunicato diramato da noi all’inizio di quest’anno, fummo i primi a rendere noto che, secondo uno studio dell’Università di Zurigo, un quarto dei pazienti non ha recuperato completamente sei mesi dopo l'infezione, di cui circa il 10% ancora gravemente compromesso nella propria vita quotidiana. È chiaro che maggiore è il numero di persone colpite, più evidenti sono gli effetti a tutti i livelli della società: le persone affette sono assenti dalle famiglie, dalle associazioni e dal posto di lavoro. E chi se non gli infermieri, uomini e donne prima che professionisti della salute, i esposti più di tutti al rischio, e di fatto tra i più contagiati, oggi subiscono ancora le conseguenze del virus?", si domanda De Palma. 

Non è finita, qui. Ad acuire le nostre denunce, continua De Palma, ad aggravare la situazione, anche  alla luce del modus operandi di altri Paesi non certo da considerare isole felici , ma quanto meno forti di una politica sanitaria più lungimirante della nostra, c’è ad esempio il recentissimo caso degli Stati Uniti. Negli Stati Uniti si è costituta una rete di supporto: la Long Covid Doctors For Action (LCD4A) che promuove un maggiore riconoscimento del Covid persistente e del suo impatto sulla salute e sulla carriera degli operatori sanitari.

I membri di LCD4A includono i sanitari che sono stati licenziati dal loro datore di lavoro per motivi di inabilità, coloro che hanno richiesto il pensionamento per motivi di salute molto prima del previsto e altri che hanno perso il loro posto nei programmi di formazione. Cosa fa la nostra politica? In che modo il Ministero della Salute si preoccupa di approfondire e analizzare il preoccupante fenomeno del Long Covid, avviando indagini a tappeto tra gli infermieri che manifestano i pericolosi sintomi sopra citati e che, impossibilitati a svolgere il proprio compito, fanno mancare di fatto il loro apporto ai colleghi?

Abbiamo deciso, dice ancora De Palma, di non fermarci qui, e abbiamo preso contatti con i vertici di LCD4A per capire se è possibile, in Italia, cominciare ad implementare analoghi piani risolutivi, avviando di fatto una sinergia tra i nostri professionisti della salute che denunciano questi allarmanti sintomi e quanti negli Usa già ne soffrono e hanno dato vita a questo gruppo, dove di fatto migliaia  professionisti denunciano di veder compromessa per sempre la propria attività lavorativa.

L’obiettivo primario è quindi quello di avviare, da parte nostra, un approfondito report per capire quanti infermieri italiani oggi sono sul punto di chiedere il pensionamento anticipato, quanti hanno dato le dimissioni o stanno pensando di farlo, quanti sono in malattia lunga, pesando non poco con la loro assenza sugli equilibri già precari di pronto soccorsi e reparti nevralgici. 

Non dimentichiamo che, nei casi peggiori, i sintomi del Long Covid si traducono in possibili disturbi cardiaci, emicrania cronica, tremore e anche nella cosiddetta “nebbia cognitiva” che conduce a problemi di memoria di non poco conto.   E’ chiaro che infermieri in queste condizioni non possono più svolgere la propria professione in modo idoneo, ed è chiaro che tutto questo ricade sulla salute dei pazienti, e sui carichi di lavoro assistenziali in generale.

L’Italia ha bisogno degli infermieri, non smetteremo mai di ribadirlo: infermieri appagati dal punto di vista della valorizzazione economico-contrattuale nelle loro legittime aspirazioni, infermieri in buona salute, fisica e psichica, non esposti al rischio di errori che possono ricadere sui pazienti, a causa di ansia, stress, insonnia. Il sistema sanitario italiano, già febbricitante, non può permettersi di perdere ulteriore colpi ed è palese che il nostro Ministero della Salute debba, di concerto con l’Inail , per come la vediamo noi, valutare la possibilità che i sintomi del Long Covid siano classificati tra le  malattie professionali, rispetto alle quali va prevista una indennità.  Siamo o non siamo i professionisti che più di tutti, a contatto con i malati, hanno contratto l’infezione sul luogo di lavoro? Nessuno osi dimenticarlo», chiosa De Palma.

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