Cronache
Addio a Michela Murgia, che ha sdoganato l'antipatia di professione
Murgia ha scritto cose interessanti, ma la sua attività frenetica e social l’ha trasferita nell’alveo dei piccoli miti portatili di una confusa quotidianità
Addio a Michela Murgia, che ha sdoganato l'antipatia di professione
Michela Murgia è scomparsa l’altra notte a Roma. La sua parabola umana e intellettuale non ha avuto derive, fino all’ultimo ha mantenuto una rigidità concettuale e una tale alta opinione di sé che, in questa tragica circostanza, ce l’hanno fatta apprezzare. Facciamo fatica a non vedere gli sforzi fatti in tutta la sua breve esistenza per essere sempre “diversa” ma sempre attiva nell’abito di uno sbiadito politicamente corretto che ha sempre avuto bisogno di alzare asticella e tiro.
Ma oggi voglio parlare della sua antipatia, voluta, ricercata, fotografata, mai negata, esibita come un trofeo contro il mondo, e verso avversari che l’hanno sempre ritenuta frutto di una sapiente opera di marketing contemporaneo. Il suo femminismo di facciata, la sua “famigliona in bianco” che assomigliava pericolosamente ad una setta californiana, il suo uso reiterato di una retorica al contrario sui temi del gender, del matrimonio, della croce e di tutto quello che era molto banale trasformare in facili battaglie per gli pseudo-diritti di una nicchia marginale di privilegiati.
La Murgia ha scritto cose interessanti, ma la sua attività frenetica e troppo social l’ha trasferita nell’alveo dei piccoli miti portatili di questa confusa quotidianità. Non sono i meriti letterari che vorremmo analizzare, già fin troppo celebrati, ma la necessità quotidiana della scrittrice-attivista di dover affermare in continuazione la propria perdurante e francamente insopportabile antipatia, che crediamo esser frutto di una imponente opera di marketing strategico. Basti ricordare gli insulti al suo pigmalione Augias e la distruzione dell’opera di quasi tutti gli scrittori viventi, a parte qualche suo sconosciuto sodale.
Indimenticabile è anche l’analisi arrogante e spuntata dell’opera gigantesca di Franco Battiato, probabilmente affondato per quella invidia che, trapelava da quasi tutti i suoi ragionamenti, e dove solo la sua Elegant Queer Family(+Saviano), era esclusa.
Non è casuale che dopo la dichiarazione spettacolare della sua malattia, abbiamo assistito alla proliferazione di immagini allegre e spensierate, tendenti ad un improbabile glamour, e a progetti di rinascita e di affermazione su scala nazionale della sua dottrina, sempre legata alla creazione di disagi a quanti (tantissimi) non avevano le sue idee.
Non è morta la Yourcenar, ma se vogliamo neppure il suo conterraneo Gramsci, perché ha usato la forza propulsiva che ricade sotto il nome di ”fama” per sparare ad alzo zero contro ogni idea e ideale diversi dai suoi, esattamente come fanno tutti quelli che appartengono alla società letteraria che assomiglia sempre più pericolosamente a quella dello spettacolo, con buona pace di Guy Debord.
La moda, il made in Italy l’hanno dunque immediatamente ingaggiata per ampliare i target di vendite potenziali, vedremo gli sviluppi postumi, di questa colossale recita che ha coinvolto tutte le anime belle della “gauche caviar”, ancora viva e vegeta, purtroppo, ma sempre meno incisiva nell’ambito delle innovazioni politiche, sociale e soprattutto antropologiche. Sempre alla ricerca del martire di turno.
Alla grande famiglia della scrittrice scomparsa vanno le nostre condoglianze anche per aver sdoganato un sentimento dominante e diffuso ma mai accettato dai più, quell’antipatia che è stata nel corso della Sua breve vita, una compagna fedele e proficua. R.I.P.