Cronache
Nuovo avviso di garanzia a Mimmo Lucano. Documenti falsi a immigrati di Riace
Mimmo Lucano, già a processo per le illegalità diffuse a Riace, si vede arrivare una nuova tegola. Lui: "Sono amareggiato”.
Nelle scorse ore Mimmo Lucano, finito a processo dopo l'inchiesta Xenia perché accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, truffa e abuso d’ufficio con altre 25 persone, si è visto recapitare un nuovo avviso di garanzia. Avrebbe rilasciato documenti d’identità falsi a immigrati ospiti nei centri di accoglienza.
Un nuovo tassello per il soprannominato “sindaco dell’accoglienza”. Lucano è stato descritto dai magistrati nell’inchiesta per la quale è rinviato a giudizio come un uomo ossessionato dal potere e dalla visibilità. I giudici la chiamano “delirio di onnipotenza”, alimentata dalla visibilità internazionale data da articoli, film e documentari che raccontano l'epopea di Riace e sua, come quando la rivista Fortune lo inserì tra i 50 uomini più influenti del pianeta, insieme a Obama e il Papa. Un sistema, Riace, che è tutt'altro che un modello, “opaco e inverminato da mille illegalità al suo interno”, hanno scritto i giudici della Libertà che hanno preso sotto esame il suo caso.
Raggiunto dalla notizia del nuovo avviso di garanzia l’ex sindaco ha dichiarato all’agenzia Adnkronos di sentirsi “amareggiato”. La sua versione dei fatti fa riferimento ad un singolo caso di una donna eritrea e a suo figlio di pochi mesi, che erano inseriti in un progetto di accoglienza al Cas a Riace. Lucano: "la prefettura ci aveva chiesto l'inserimento per la madre e il bambino e noi avevamo detto di sì perché c'era la disponibilità". In seguito "fu fatta l'iscrizione al registro anagrafico e poi fu richiesta la carta d'identità perché il bambino aveva necessità di vedersi assegnato un pediatra". Per l’ex sindaco la contestazione nascerebbe dalla carta d'identità rilasciata nonostante la donna e il bimbo "non avessero il permesso di soggiorno". Questa la sua versione.
Il caso va inserito nel contesto di Riace. Nell’indagine Xenia che l’ha portato a processo i magistrati facevano capire che le motivazione che muovevano l’ex sindaco erano differenti: “La fa da padrone il tornaconto politico-elettorale del Lucano che in più di un'occasione fa la conta dei voti che gli sarebbero derivati dalle persone impiegate presso le associazioni e o destinatarie di borse lavoro e prestazioni occasionali, persone molte delle quali inutili a fini lavorativi o addirittura non espletanti l'incarico loro affidato, sovrabbondanti rispetto ai bisogni eppure assunte o remunerate anche in via occasionale per il ritorno politico-elettorale".
Una rete di voti e di economia, quella cittadina, che 10 milioni di euro, arrivati dallo Stato, permette di alimentare. Si trovano strutture, teoricamente dedicate agli immigrati, ma inesistenti, personale assunto e che come sa bene lo stesso Lucano, intercettato, finge di lavorare, denaro speso per concerti o per alimentare il mito “Riace” e manipolazioni nelle rendicontazioni. “Tutto questo sistema di associazioni sul territorio è stato, peraltro, realizzato da Lucano”, scrivono i giudici, “senza nessuna osservanza dei principi di economicità, efficacia e trasparenza procedendo direttamente alla selezione degli operatori economici (enti gestori) senza far ricorso alle prescritte procedure di evidenza pubblica. In tal modo ha gestito l'accoglienza, avvalendosi di diversi enti gestori da lui scelti e composti da persone a lui legate da intensi rapporti, nell'ambito dei progetti Sprar e Cas di: n°468 stranieri nel 2014; n°512 stranieri nel 2015; n°557 stranieri nel 2016; n°268 stranieri nel 2017 (fino al mese di settembre). Sono stati quindi veicolati a queste associazioni dal ministero dell'Interno e dalla Prefettura di Reggio Calabria somme di denaro per un ammontare di € 10.227.494,60”.
In riferimento al nuovo avviso di garanzia Lucano ha dichiarato: "Io lo rifarei… la Costituzione prevede il diritto alla salute, il diritto alla salute è inviolabile e fondamentale". Formulazione quest’ultima che a sinistra lo fa rappresentare come un perseguitato.