Cronache

Pubbliche amministrazioni, il grave problema dello svuotamento 'funzionale'

L'opinione di Santo Fabiano

C’è un tema che non entra nei salotti televisivi e non sembra preoccupare il dibattito nazionale: è quello del progressivo svuotamento delle amministrazioni pubbliche.

In verità la questione riguarda in modo particolare le amministrazioni “periferiche” più che quelle “centrali”. Basta vedere gli organici di Ministeri e Autorità per comprendere che godano piena salute e con retribuzioni di tutto rispetto.

La nostra Costituzione, però, nel primo periodo dell’articolo 118, afferma che “le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni, ma questi sono proprio gli enti che registrano la maggiore sofferenza.

Già entro la fine di quest’anno, per effetto della "quota cento" e di precedenti vincoli assunzionali, saranno migliaia gli enti locali che si vedranno costretti a ripartire le funzioni esercitate (che non diminuiscono, anzi si incrementano) con un numero di persone ridotto di circa la metà.

Ci sono già Comuni che non hanno un dirigente finanziario per predisporre il bilancio o un tecnico per la pianificazione urbanistica, per non parlare dei vigili urbani che sono sempre più rari.Magari, al centro, abbiamo schiere di dirigenti e funzionari addetti al controllo degli enti locali.

Ma questi ultimi non hanno a chi assegnare le attività da effettuare. È da diverso tempo che la pubblica amministrazione, invece di essere considerata come una leva strategica per il funzionamento complessivo del Paese, è vista come il luogo in cui si nascondono i "fannulloni". Questa triste affermazione, peraltro non assolutamente veritiera, ha avuto l'effetto danneggiare l'immagine del sistema amministrativo e di giustificarne il costante assottigliamento, senza per questo incidere sui reali "fannulloni, là dove ci sono davvero. Al grido di "privato è meglio che pubblico", dopo avere causato danni infiniti con l'introduzione di metodi improvvisati e deleteri (come il sistema di incentivazione e valutazione), si è arrivati a considerare che, tutto sommato, le funzioni tipiche delle pubbliche amministrazioni possono essere tranquillamente affidate all'esterno.

Prima si è iniziato con la saga delle "partecipate", generando un numero infinito di aziende ibride, buona parte delle quali ha fallito la propria missione e causato buchi di bilancio che ancora dobbiamo sanare. Adesso, con il favore della pandemia, si spinge sulla leva del cosiddetto "lavoro agile" o "smart working".Al netto della considerazione, ormai consolidata che, quando una proposta di autodefinisce con aggettivi promettenti, di solito delude, la questione dello smart working ha infinite sfaccettature. Certamente rappresenta un'opportunità per promuovere innovazione e il giusto allontanamento dalle logiche precedenti che appesantivano l'attività amministrativa.

Ma non è da trascurare il pericolo che l'allontanamento dei dipendenti dai luoghi di lavoro non comporti anche l'allontanamento dei cittadini dalla publica amministrazione.

Infatti, dall'affermazione che, non occorre che il dipendente si rechi in ufficio a quella per cui non occorre che la pubblica amministrazione si serva di dipendenti pubblici, il passo e breve. E non mancherà qualche "innovatore" che con il cappello di Archimede si impegni a dimostrare che, tutto sommato, non c'è nonché nemmeno bisogno che il palazzo del Comune si trovi, esattamente nel territorio del Comune: basterà connettersi o se necessario, magari proiettare un bell'ologramma nella piazza principale, per dare l'impressione della vicinava. La questione è seria ed è anche grave. E non è il caso di sottovalutarla. È giusto promuovere innovazione e provare a condividere procedure, ma bisogna stare attenti ad assecondare la tecnologia fino a privarsi degli altri aspetti essenziali di cui si compone il "vivere civile".

Le città hanno bisogno di luoghi di incontro, confronto e relazioni. E hanno anche bisogno di luoghi in cui si fa politica e si decide avendo cura di incontrarsi fisicamente. È la stessa differenza che passa tra un vino qualsiasi e un vino di qualità. Sempre di vino si tratta. E sicuramente non mancheranno ingegneri che ne sapranno cogliere gli aspetti della procedura per la produzione o economisti che ne ricaveranno i benefici per l'investimento. Ma il "gusto" non si misura.La stessa cosa vale per la pubblica amministrazione. Non serve chiamarla "smart" o "agile" per presentarla come bella e funzionante. Il compito della P.A. non è quello di "soddisfare clienti", ma di creare le condizioni "sociali" che consentano una vita civile ordinata, sicura e rispettosa dei diritti e delle opportunità di ciascuno.

Prima che sia troppo tardi, prendiamoci cura della pubblica amministrazione e valorizziamola per ciò che è (non un'azienda che produce servizi). Ma soprattutto evitiamo che si spopoli. Altrimenti, prepariamoci a chiedere un certificato on line e trovare, all'altro capo del telefono, un interlocutore che risponde dalla Bulgaria.

Niente contro i call center e gli altri Paesi, ma la P.A. è un'altra cosa.