Cronache
Parla Ranieri Guerra: "Così Kluge e Zambon mi tagliavano fuori dalle scelte"
Il direttore vicario dell'OMS racconta ad affaritaliani.it la sua versione sui fatti che lo vedono indagato a Bergamo per falsa testimonianza
Ranieri Guerra, ex direttore generale dell'ufficio di Prevenzione del Ministero della Salute, è direttore vicario dell’OMS - Organizzazione Mondiale della Sanità. In questo ruolo, è finito nell’occhio del ciclone per le presunte ingerenze nell’ormai celebre rapporto “An unprecedented challenge – Italy’s first response to COVID-19”. Dal documento emergeva l’impreparazione del nostro Paese ad affrontare la pandemia, anche a causa del mancato adeguamento del piano pandemico nazionale. Sul punto, come vedremo, Ranieri Guerra ha da eccepire: “aggiornamento”, questa la sua linea difensiva, significa anche confermare ciò che è ancora valido. Non è certo questo l’unico punto sul quale Ranieri Guerra e i suoi legali intendono fare chiarezza, dopo l’iscrizione del medico nel registro degli indagati della Procura di Bergamo, con l’accusa di aver reso false dichiarazioni al PM. Su tutta la vicenda è stata depositata una corposa memoria di oltre 40 pagine, nella quale Ranieri Guerra replica punto su punto alle contestazioni rivoltegli dalla magistratura.
In particolare, dipinge un quadro decisamente diverso da quello tracciato da Francesco Zambon, che proprio in seguito alle polemiche derivanti da queste vicende si è dimesso dal suo ruolo di funzionario dell’OMS. Non solo. Zambon nei giorni scorsi ha pubblicato un libro dal titolo “Il pesce piccolo”, destinato a gettare ulteriore benzina su un fuoco già alimentato da numerosi dibattiti televisivi, da “Report” a “Non è l’Arena”. Proprio da qui parte l’intervista che affaritaliani.it ha fatto con Ranieri Guerra, il quale fornisce la sua versione su tutti i punti dirimenti di questa vicenda così delicata.
Dott. Guerra, in questi giorni è uscito “Il pesce piccolo”, libro nel quale Francesco Zambon fornisce la sua versione dei fatti. Lei che cosa ne pensa?
E’ un volume strano, congegnato per continuare a condurre un attacco discreditante nei confronti della mia persona e dell’Organizzazione per cui l’autore ha lavorato a lungo, non risparmiando anche critiche al Direttore Generale, eletto dall’assemblea mondiale della sanità a scrutinio segreto, quindi secondo i canoni della democrazia; sul punto si cita l’Unicef, quale esempio migliore di selezione meritocratica, dimenticando, però, che tutti i direttori esecutivi dell’Unicef sono stati presentati dal governo federale americano.
Ancora non comprendo i motivi per questo rancore personale, che porta Zambon a citare solo me con nome e cognome, in contrapposizione a lui, mentre inventa pseudonimi ed utilizza solo le iniziali per identificare gli altri colleghi. Non chiarisce le molte domande che gli sono state fatte, anche da me, sul perché dell’impostazione di un Rapporto (quello ritirato) così soggettiva e giudicante, rispetto ad un Paese che stava uscendo dalla fase più acuta di un’epidemia che ha colpito non solo la salute, ma anche l’insieme dei rapporti sociali ed economici. Era ovvio il rischio di politicizzazione di un testo che non sembrava scritto dall’OMS, la cui linea è sempre l’oggettività, la presentazione e l’analisi di dati e elementi fattuali. Certamente non il giudizio o la critica soggettiva nei confronti di uno Stato membro in grave difficoltà, che aveva chiesto e stava ancora chiedendo assistenza e supporto tecnici per individuare le scelte migliori in un ambito ancora pochissimo conosciuto dalla scienza e dalla ricerca.
Io, poi, non conosco esattamente i presunti attacchi violenti e personali che l’OMS avrebbe lanciato nei confronti di Zambon e da lui citati. Io non l’ho certamente mai fatto. A me è stato richiesto per mesi di non rispondere alle provocazioni e perfino di tenere riservate le mail e le comunicazioni scambiate con lui che invece dimostrano come abbia alterato e manipolato la sostanza dei fatti, e continui a farlo anche nel libro. Inoltre, solo recentemente sono emerse tracce significative delle comunicazioni tra Zambon e il suo direttore regionale Kluge e che chiariscono molto bene quale fosse l’atteggiamento anche nei miei confronti, condiviso dai due: si dice chiaramente che io dovevo essere emarginato dai processi decisionali che avvenivano a Roma, immagino per promuovere il contatto diretto tra Kluge e il Ministro (che io peraltro ho sempre favorito, conscio delle gerarchie e della necessità di rispettare i ruoli di tutti).
L’evidenza dei fatti contrasta con il racconto di Zambon, che si contraddice spesso, che parla di un Rapporto che sarebbe stato importantissimo come di un racconto tra amici, distaccato dalla realtà operativa e dal sacrifico di tanti. Credo che cercare di piegare la verità a un fine personale sia un limite grossolano di chi si è presentato all’opinione pubblica con le vesti del martire della stessa verità. Zambon ignora o finge di ignorare la complessa realtà italiana di inizio pandemia, così come ignora la complessità stessa in cui tutti i paesi del mondo si sono trovati a governare l’emergenza. La banalizzazione di giorni terribili è triste da vedere soprattutto quando espressa per interesse personale da un collega, che sia pure da casa sua, in una bolla sterile e distaccata, ha partecipato indirettamente e via schermo di un computer agli eventi quotidiani che avevano luogo sul fronte gestionale, politico e tecnico-scientifico, dove si cercava di dipanare una matassa estremamente complessa, sconosciuta, ben coscienti che una decisione avventata o basata sull’improvvisazione avrebbe messo a rischio l’intero Paese.
Io credo che tutti i miei colleghi del CTS e degli Istituti e delle strutture sanitarie del Paese, le stesse famiglie, i malati e i sopravvissuti, coloro che ancora combattono con il Covid prolungato, dovrebbero sentirsi offesi dalla superficialità con cui viene trattato un argomento tragico, non da commedia leggera o da opera lirica. Il libro ignora questi fatti, perché l’autore finge di non conoscerli, oppure perché forse non ne sa nulla, avendo trascorso l’intero periodo più duro della prima ondata a casa sua o meglio, come racconta egli stesso nel libro, nella sua soffitta del Cinquecento a osservare le travi stagionate che ne abbelliscono sicuramente le pareti.
Nella memoria difensiva presentata al Tribunale di Bergamo il suo avvocato chiede di non ammettere gli scambi di messaggi che, secondo l’accusa, sarebbero intercorsi tra lei e Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, in quanto decontestualizzati e non chiaramente riferibili a voi. C’è però un particolare importante: lei ha effettivamente scritto “Sono stato brutale con gli scemi del documento di Venezia. Ho mandato scuse profuse al ministro e ti ho messo in cc di alcune comunicazioni” oppure no?
Il mio difensore, l’avv. Roberto De Vita, non ha domandato di “non ammettere” i messaggi (sulla cui origine e modalità di acquisizione allo stato noi non sappiamo), ma ha rappresentato che messaggi frammentari, incompleti, decontestualizzati e di cui non è nota l’origine nulla dicano e nulla aggiungano rispetto alla verità oggi, documentalmente provata, su chi ha fatto ritirare il rapporto e perché, verità che di fronte all’evidenza documentale ha dovuto ammettere anche lo stesso Zambon.
In precedenza si è fatto credere all’opinione pubblica che il rapporto fosse stato riturato per mano mia e per volontà dell’Italia; oggi è ben noto e si sa che il rapporto è stato ritirato per via della questione cinese e per mano dello stesso Zambon. La falsa suggestione portata da pezzi di chat è un’altra emanazione di nebbia adoperata per distogliere l’attenzione rispetto alla tematica dell’infrazione compiuta da chi ha pubblicato un rapporto senza seguire le procedure OMS, che prevedono precise fasi autorizzative, l’ultima ed essenziale delle quali non è stata rispettata (come poi dimostrato dalla sequenza di comunicazioni da Pechino che hanno portato al ritiro del Rapporto da parte di Zambon stesso).
Ricordi sempre che a me era stato chiesto di presentare l’indice del rapporto al ministro il 14 aprile, come parte di un progetto di assistenza al governo italiano che era iniziato il 26 marzo e che prevedeva molte cose, oltre al Rapporto, come, ad esempio, la realizzazione di una sorveglianza domiciliare modello in Calabria e Sicilia, l’inclusione dell’Italia in un programma di sorveglianza clinica promosso dall’OMS, e, infine, il possibile finanziamento di un programma di sorveglianza ambientale di cui i colleghi dell’ISS sarebbero stati primi attori e protagonisti globali (avendo già identificato i primi reflui positivi a metà dicembre 2019). Oltre a questo, erano in gioco il rinnovo dell’ufficio OMS di Venezia e la possibile apertura, proposta dal direttore regionale Kluge, di un ufficio di collegamento presso il Ministero della Salute a Roma.
Tutto questo si basa su un rapporto corretto, fiduciario, trasparente con lo Stato, che viene sorretto dall’indipendenza e dall’autonomia dell’OMS, dalla sua capacità di esprimere assistenza e collaborazione qualificate, fondate sull’evidenza e non sul giudizio sommario ed impreciso espresso nel Rapporto, la cui qualità non è certo comparabile, ad esempio, agli oltre mille lavori scientifici già prodotti alla data della sua pubblicazione dai ricercatori e dai medici italiani, basati su criteri di validità scientifica oggettivi. Per inciso, questo era anche il motivo per cui era stata da me proposta una rilettura del Rapporto, un suo aggiornamento e ripubblicazione nel giro di un paio di giorni. La fretta con cui Zambon lo pubblica, mi dispiace dirlo, era ed è ancora sospetta. Il fatto che abbia deciso la pubblicazione e abbia voluto procedere in quel senso, dandone notizia solo a evento concluso e agli organi di stampa, prima di ogni altro, alimenta domande a cui il libro non fornisce risposta, rispetto a un’evidenza che va invece chiarita. La famosa domanda ‘cui prodest’, che in questo caso è d’obbligo.