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Cronache
Mafia Capitale non è mafia. Neanche la Banda della Magliana lo era

Dopo Milano da bere c’è Roma da ridere. Quella Roma che sembra città aperta ai clan.

 

Pochi giorni fa la Cassazione ha assolto il gruppo criminale capeggiato dal capo delle coop rosse romane Salvatore Buzzi e dall’ex Nar e componente della Banda della Magliana Massimo Carminati dall’aggravante mafiosa. Pochi ricordano però che anche la Banda della Magliana con i suoi ammazzamenti e il controllo totale del traffico della droga a Roma, non è mai stata condannata per mafia in via definitiva. E confrontati agli omicidi, le armi, le estorsioni, le intimidazioni, l’omertà e il controllo del territorio della "Banda" questi sono poppanti. Sono angeli innocenti. In queste ore è stato revocato il carcere duro a Carminati, vista la sentenza della Cassazione.

 

Per quanto sia luogo comune considerare la Banda della Magliana una mafia, visti i livelli organizzativi e la brutalità, le sentenze definitive hanno scritto altro, declassandola appunto a “Banda”. 

Tra gli anni ‘70 e ‘80 l'organizzazione verticistica e piramidale messa in piedi dalla “Banda” ebbe l’intuizione di unire le forze dei vari gruppi criminali romani che agivano separatamente nella capitale e nelle zone limitrofe. Il gruppo assunse il controllo diretto di tutti gli affari illeciti, estromettendo così le altre mafie ed estendendo la propria rete alle principali organizzazioni criminali italiane, oltre che ad esponenti della massoneria italiana e a diversi elementi della destra eversiva. Entrando così nelle vicende più clamorose della nostra storia, dal caso Moro all’omicidio di Mino Pecorelli, fino all'omicidio del banchiere Roberto Calvi, l'attentato a Giovanni Paolo II e la scomparsa della giovane Emanuela Orlandi.

 

Eppure nel luglio del 1996, davanti alla Corte d’Assise di Roma si concluse il processo di primo grado della cosiddetta ”Operazione Colosseo”, con una condanna per associazione di stampo mafioso proprio alla Banda della Magliana. Anni lontanissimi e mondi ormai sconosciuti appena usciti dalla fine della Guerra Fredda in cui furono determinanti per ricostruire la realtà le rivelazioni del boss Maurizio Abbatino, uno dei capi della “Banda” diventato collaboratore di giustizia. Confermata in massima parte dall’Appello in Corte d’Assise nel 1998, l’impianto della sentenza verrà poi smontato nel 2000 dalla Cassazione: la Banda della Magliana non è un’associazione mafiosa ma una semplice associazione a delinquere, con conseguenti riduzione delle pene nei processi, rifatti. Un refrain questo che torna sempre a Roma, qualsiasi sia l’organizzazione messa in piedi negli anni. A Roma non c’è la mafia. Ma è appunto una Roma tutta da ridere.

 

Anche se non sono le suggestioni ma gli impianti giuridici a determinare le sentenze, sorprende come non pochi imputati che compaiono nell'inchiesta Mafia capitale provengano proprio dalla vecchia “Banda”, poi scioltasi.

 

Ma se in tanti gioiscono o si congratulano con le proprie argomentazioni passate non si fanno i conti con la realtà. Le nuove mafie non hanno bisogno di imporsi con la violenza, tanto più sugli imprenditori e gli uomini politici. Sono spesso risolutrici di problemi, se non portatori di voti e interessi a quegli uomini politici che una volta eletti gestiscono come delle lobby qualsiasi.  Esercitando questa attività con gli stessi mezzi di sempre, le intimidazioni, l’omertà, il denaro illecito e il controllo del territorio, ricorrendo alla violenza solo in casi eccezionali. Roma è una città aperta ai clan e se Milano è ricordata per essere la "città da bere" Roma sarà la "città da ridere". Una risata amara. Prendiamone atto e pace all’anima sua.

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