Cronache
Strage del bus sull'A16, i famigliari delle vittime chiedono giustizia
di Enza Petruzziello
La rabbia, il dolore, le lacrime che non si arrestano, la voglia di risposte. Senza patteggiamenti. Senza possibilità di sconti di pena. Chiedono giustizia i famigliari delle vittime della strage che il 28 luglio 2013 precipitarono da un viadotto della A16 a bordo di un bus, tra i caselli irpini di Monteforte e Baiano. Questa mattina tutte le parti coinvolte si sono ritrovate nella sala blu del Carcere Borbonico di Avellino – unico luogo attrezzato per contenere le 175 parti civili e oltre cinquanta avvocati – per la prima udienza preliminare di quella che è passata alla cronaca come la strage del bus. Udienza rinviata però al 24 settembre per difetti di notifiche.
Dopo la decisione del Gup Gianfrancesco Fiore non sono mancati momenti di tensione. Il famigliare di una delle vittime ha inveito contro Gennaro Lametta, il proprietario del bus precipitato e fratello dell'autista morto nell'incidente.
"Sei un assassino'' urla mentre l'imputato si allontana. Il giovane ha tentato di scagliarsi contro Lametta ma è stato bloccato dai poliziotti. Il rinvio è stato accolto con disappunto dai parenti delle vittime. "Noi siamo morti dentro e lui deve andare e restare in galera", ha detto Giuseppe Bruno presidente dell'Associazione Vittime della strada A16.
“In Italia chi uccide diventa famoso - continua Bruno che nell'incidente ha perso entrambi i genitori - . Il dolore è tanto e rimarrà sempre. Noi vogliamo giustizia per i nostri cari, in un breve tempo. Non vogliamo che gli anni passino. Voglio vederli in faccia e soprattutto voglio giustizia. I dirigenti dell’Autostrada stanno ancora svolgendo il loro lavoro, non sono stati neanche sospesi. Il 90% delle autostrade dell’Italia non è a norma e stiamo ancora aspettando che si faccia qualcosa per metterle in sicurezza.”
Quindici in totale le richieste di rinvio a giudizio presentate dalla procura, per omicidio colposo e disastro colposo. Firmate dal procuratore capo di Avellino Rosario Cantelmo e dai pm Adriano Del Bene e Cecilia Annecchini, le richieste riguardano i dirigenti di Autostrade, il proprietario del bus e alcuni dipendenti della Motorizzazione civile.
Ma adesso bisognerà aspettare settembre. Tempi lunghi purtroppo paventati dai famigliari che fin dalle prime ore del mattino si sono riuniti nello spiazzale antistante il Carcere davanti a sedici croci bianche e una scritta: "Giustizia per i nostri angeli sperando che i 15 indagati non diventino famosi come Schettino".
Tutti si oppongono all'ipotesi di eventuali patteggiamenti chiedendo che i responsabili siano condannati al massimo della pena.
“Per me è assurdo che venga permesso un patteggiamento e offerta l’idea di un una somma di denaro–spiega Maria Loffredo che ha perso sua madre –. Perché stabilire un risarcimento e non andare direttamente alla pena? Stanno giocando sul fatto che i tempi possano protrarsi anche se la responsabilità è così evidente, così chiara. Non accuso solo Autostrada. Non dimentichiamoci della Motorizzazione che ha falsificato un mezzo che non doveva circolare. Il dolore resta ai famigliari perché siamo noi che torniamo a casa, apriamo la porta e non troviamo i nostri cari. Mi sono ritrovata a 25 anni in una realtà che avevo sempre ignorato. Adesso ho paura: di mettermi in macchina, di camminare e andare a lavorare perché magari la strada non può essere a norma".
"La nostra intenzione è di essere presenti per far capire che se anche è stato offerto un risarcimento quello non può andare a sopperire la morte dei nostri cari. Sono disposta a licenziarmi dal lavoro per venire tutti i giorni qua e far sentire la mia voce. Siamo 150 persone che hanno vite distrutte, genitori che hanno perso i figli e figli che hanno perso genitori. Ricordo ancora quei 40 lenzuoli bianchi in quel viadotto, sembrava di essere in una camera mortuaria. Queste persone devono pagare perchè mi hanno staccato la mente a vita”.