Cronache
Una intrigante mostra dei Macchiaioli a Lucca
Nella mostra attuale sono esibite non tutte le opere della Collezione ma la corposa sezione delle opere dei macchiaioli, circa settanta, molte delle quali appartengono al periodo della prima generazione della Macchia
Lucca, una intrigante mostra dei Macchiaioli
Il titolo della Mostra è “Opere della Collezione Vincenzo Giustiniani/ 1875-1920”, ed è ospitata nelle sale del Complesso San Micheletto di Lucca. Apertasi il 16 Novembre, durerà sino al 6 Gennaio 2025. Il Conte Vincenzo Giustiniani (1864-1946), ferrarese, in giovane età si invaghì della campagna lucchese, acquistò e rianimò la tenuta di Forci e, grazie alla donazione alla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca della sua Collezione compiuta da una nipote, si rivela essere stato un collezionista di grande competenza e gusto.
Nella mostra attuale sono esibite non tutte le opere della Collezione ma la corposa sezione delle opere dei macchiaioli, circa settanta, molte delle quali appartengono al periodo della prima generazione della Macchia, il decennio 1860-70.
Ora alcuni dei quadri sono così evidentemente e direi clamorosamente belli – penserei alle Barche da pesca alla fonda e L’Arno alle Cascine di Giovanni Fattori, o alla Porticciuola Rossa di Silvestro Lega, o ai Due amici sull’argine di Plinio Nomellini, che anche una persona che non sappia niente dei macchiaioli può visitare la mostra per iniziarsi a questo genere di pittura senza annoiarsi ed anzi può cominciare ad entusiasmarsene. Del resto, tutti e tre i pittori della famosa triade Fattori-Signorini-Lega sono presenti con diverse opere ciascuno, a conferma di quanto si legge nei libri di storia. La Mostra si presta dunque per delle visite di scolaresche.
Ma ce n’è anche per chi conosca già la Macchia e ne abbia letto o studiato qualcosa. Quello che c’è è che viene offerta un’idea della Macchia nel suo farsi, della Macchia come laboratorio di artisti che stavano sperimentando una forma nuova di pittura. Vorrei illustrare brevemente questo aspetto. Molti hanno letto o sentito dire che Fattori era capace di trarre una tavoletta anche da una scatola di fiammiferi, o di toscani. Ebbene, qui abbiamo numerosi esemplari di tavole minuscole, che però non sembrano delle miniature. Forse il segreto è che viene semplificato il soggetto, soprattutto paesistico. Ad esempio, in Tramonto: ultimo raggio un villaggio che scende a cascata da un monte è indicato con due case… e mezza. Un altro esempio è la Donnina su strada in discesa.
Come si è arrivati ad abbandonare gli stili tradizionali, o anche moderni che si praticavano e insegnavano a metà dell’800? Un’ ipotesi è che alcuni pittori partissero da dei bozzetti buttati giù rapidamente, in presa diretta, per preparare poi i veri quadri: e che poi qualcuno –non si sa chi- si accorse che erano più interessanti i bozzetti.
Ebbene, abbiano qui il bozzetto del famoso Canto di uno Stornello di Silvestro Lega. Ora Il Canto di uno Stornello appartiene alla fase macchiaiola di Lega, un pittore che cercò a lungo, e presso diversi maestri, la sua strada; ma non è un quadro macchiaiolo, piuttosto una realizzazione del programma purista, o neo-quattrocentesco, che Lega condivideva con il suo ultimo maestro, il Ciseri. Stenteremmo a dire che sia più bello il bozzetto. Nel quadro finito la luce morbida sul paesaggio che si vede dalla finestra, e quella che modula le figure all’interno lascia a bocca aperta: è un capolavoro. Ma dal confronto cominciamo a capire che la presa diretta, con le sintesi, se non semplificazioni, che comporta, può dar luogo a delle opere in sé compiute e nuove.
Un aspetto poco noto della Macchia è che non ci sono solo le grandi figure – i tre già nominati, Vincenzo Cabianca, Raffaello Sernesi. Vi furono anche i macchiaioli di passaggio, quelli che si fermarono a Firenze anche parecchi anni, come Giovanni Boldini, che risiedette a lungo a casa di Cristiano Banti, e Federico Zandomeneghi ospite di Diego Martelli, o Vito d’Ancona, per poi prendere delle altre strade a Parigi. Ora la bellissima tavola Leopolda Banti alla spinetta, di Boldini, che non si conosceva, è indubbiamente macchiaiola: per il felice accostamento dei colori, per la fantastica sintesi con cui viene realizzato il panneggio della lunghissima gonna della suonatrice, per la capacità di dare un’espressione raccolta ed ispirata alla donna senza una resa precisa dei lineamenti del suo volto.
Eugenio Cecconi (da non confondere con un altro grande macchiaiolo, Adriano Cecioni) era noto e forse più prospero degli altri macchiaioli come pittore di scene di caccia; da cui poi la sua passione per le foreste, gli acquitrini e le paludi. Il suo più noto contributo alla Macchia è Le cenciaiole livornesi, ma anche questa Stornellatrice vista di schiena, che canta appoggiandosi con una spalla al muro è notevole per lo studio della posa e per l’estremo ascetismo cromatico.
Infine, Plinio Nomellini, qui con i suoi Due amici sull’argine. I due uomini siedono sul dorso erboso dello spalto dell’argine, e i loro busti e capi si stagliano contro un cielo singolarmente color ocra. I loro volti non sono delineati, a causa del contro-luce, ma anche perché non è necessario per rendere l’intento confidenziale e meditativo che li anima. L’ocra potrebbe essere dovuto al tramonto incipiente, o essere irradiato da loro.