Culture
Intervista a Daniela Raimondi, autrice de "La casa sull'argine"
Affari Italiani ha intervistato l’autrice de “La casa sull’argine”, Daniela Raimondi, uno dei bestseller di questo 2020
Svariate settimane in top ten, cinque edizioni in un mese, in corso di traduzione in già otto Paesi e persino l’acquisizione dei diritti cinematografici da parte della Indigo Film. “La casa sull’argine” è il bestseller del 2020, o almeno uno di essi. Si tratta di una saga familiare ambientata nel piccolo borgo di Stellata, al confine tra Lombardia, Emilia e Veneto, che ha stregato e appassionato migliaia di lettori.
Protagonista di questo romanzo, dove si ripercorre la storia d’Italia dal 1800 fin quasi ad oggi, è la famiglia Casadio, con i suoi personaggi stravaganti che si dividono tra i pragmatici, senza tanti grilli per la testa, e i sognatori, considerati pericolosi nel loro vivere inseguendo passioni, desideri, in una linea mai troppo netta tra realtà e immaginazione. Sono questi simpatici individui a tenerci compagnia durante un lungo viaggio che ci racconta l’evolversi di una terra, di un popolo, ma anche di noi stessi, con tutte quelle contraddizioni e speranze che appartengono ad ogni famiglia, generazione dopo generazione.
Affari Italiani ha intervistato l’autrice de “La casa sull’argine”, Daniela Raimondi, per saperne di più su questo manoscritto che ha visto molte avventure prima di approdare ad Editrice Nord e trovare infine la sua giusta collocazione nelle librerie di tutta Italia.
Daniela ti aspettavi un successo simile per il tuo libro? E come te lo spieghi?
“Sapevo che il libro sarebbe stato accolto molto bene, perché avevo capito che la casa editrice aveva intenzione di investire tanto nel lancio, generando di conseguenza una garanzia di visibilità. Non immaginavo, però, di restare in top ten così a lungo, né il forte interesse internazionale. Insomma, mi aspettavo dei risultati concreti, ma questi hanno superato di gran lunga le mie speranze.
Il segreto del successo? Le saghe familiari piacciono sempre; c’è chi sostiene sia una moda del momento, mentre io non la penso così: ad esempio, negli anni Novanta ce n’erano tantissime ed alcune hanno persino vinto il Premio Strega. Di certo adesso sono molto richieste, anche grazie a “I leoni di Sicilia”, che hanno spianato la strada. Tuttavia, il loro fascino non terminerà mai, perché parlano di tutti noi: di famiglie, di passioni, di esperienze che ognuno nel suo piccolo ha sperimentato o ascoltato dai racconti degli avi e dunque sono universali”.
Ci vuoi dire come è nata l’idea di scrivere questa storia e da dove hai preso spunto per costruire le articolate vicende della famiglia Casadio?
“Questo è in effetti il mio primo tentativo di scrivere qualcosa. Fino a quarant’anni non ho prodotto nulla, poi ho deciso di partire per questo viaggio alla riscoperta di me stessa e delle mie radici. Io sono nata, infatti, nella zona in cui è ambientato il romanzo, però ben presto la mia famiglia si è spostata verso Varese e la Svizzera. Ho ricordi di quella terra magica solo grazie a quando andavo a trovare mia nonna, in un paesino vicino Stellata. Dunque il tutto è nato dall’esigenza di andare alla ricerca delle mie origini; da dove venivo, a quale cultura appartenevo.
Il filtro attraverso cui ho guardato ai luoghi, ai personaggi e alle vicende è quello del mito, della nostalgia e dei racconti orali. Se la parte del Novecento presenta più aderenza alla realtà e non è dunque soltanto il frutto della mia immaginazione, quella precedente si svincola di più dalla verità storica per dare spazio alla fantasia”.
Si sente moltissimo, in questo romanzo, l’influenza del realismo magico e di Gabriel Garcìa Màrquez. Qual è il tuo rapporto con gli scrittori sud-americani?
“Devo ammettere che Cent’anni di solitudine mi ha influenzata enormemente, perché mi sono formata proprio su Màrquez e su altri autori suoi conterranei: non è un caso se mi sono laureata all’università di Londra in studi spagnoli e latino-americani, per poi vivere due anni in sud America al fine di approfondire le mie ricerche.
Borges, Cortàzar, Casares ed altri sono il mio pane quotidiano; sono immersa nel realismo magico, eppure mi rendo perfettamente conto che non tutti lo amano. Trattando tematiche e presentando uno stile molto diversi dal nostro, la letteratura sud-americana è percepita in Europa come lontana e probabilmente non è universale”.
Tra i tanti personaggi della storia, ce n’è qualcuno a cui sei affezionata particolarmente?
“Guido Casadio, perché è l’unico che porta il nome di mio padre e attraverso di lui ho raccontato abbastanza fedelmente la sua vita. Oltre a lui, sono più affezionata ai personaggi della prima parte del libro, dove ho potuto dare ampio sfogo alla fantasia: mi sono divertita molto, ad esempio, a raccontare le avventure di Achille e Angelica, di Dollaro e della zingara Viollca, personaggio in cui ho concentrato tradizioni, leggende ed anche eccentricità”.
L’elemento del magico, del fantastico e del sovrannaturale è alquanto di moda in questo periodo. Come ti spieghi un simile ritorno di interesse nei confronti di questi generi?
“Perché penso che la letteratura fantastica richiami la nostra parte bambina e, nello specifico, credere nel sovrannaturale è una sorta di favola per adulti. I mostri, le streghe, i fantasmi e gli altri personaggi del genere fantasy fanno appello al nostro bisogno di evadere. Per questo motivo penso che il fascino esercitato da una letteratura che si nutre di ciò non morirà mai”.
Vivendo tu in Inghilterra hai l’opportunità di sperimentare la differenza rispetto all’Italia nel mondo dell’editoria. Cosa puoi dirci al riguardo?
“Sono due realtà completamente diverse, perché nel mercato anglosassone tutto è più vasto: il numero di copie stampate e vendute, i guadagni degli scrittori, il bacino d’utenza stesso che la lingua inglese permette di raggiungere. In Italia se un libro vende dalle cinque alle diecimila copie è considerato un successo, mentre qui si ragiona in termini di milioni di copie.
Questo vale anche per la poesia, ambiente che conosco da tempo poiché ho scritto poesie per circa quindici anni. In Italia per farsi pubblicare su una rivista letteraria occorre pregare in ginocchio e talvolta anche pagare, in Inghilterra si viene pagati, perché la professione del poeta è valutata al pari di altre. Purtroppo in Italia manca totalmente il riconoscimento del lavoro intellettuale”.
Altri progetti in programma?
“Ho già un paio di romanzi pronti, perché questo in realtà l’ho terminato circa cinque anni fa e nel frattempo ho scritto altro. Ora, però, in tanti mi hanno chiesto un seguito de “La casa sull’argine”, che non è possibile in quanto si tratta di una storia conclusa che arriva sino ai giorni nostri. Sto allora pensando a uno spin-off, magari dedicato a Norma. Su di lei in questo romanzo dico molto poco, perciò mi piacerebbe approfondire la sua storia e il suo punto di vista, inserendo all’interno del materiale in più anche su altre figure interessanti di cui non sappiamo molto. Devo però confessare che sono piuttosto riluttante, poiché non lo trovo affatto facile. Ho scritto già qualcosa, ma non mi convince del tutto.
Nel frattempo farò magari una piccola consulenza durante le riprese cinematografiche, sebbene non mi addentrerò nel lavoro di sceneggiatura: quando vedrò il film o la serie tv sullo schermo, so già che sarà per me una grandissima emozione