Culture
L'audacia tipografica dell'esordio di Riccardo Romani

Esce oggi "Le cose brutte non esistono" dell’esordiente Riccardo Romani per la giovane casa editrice 66thand2nd, da qualche mese diretta da Leonardo Luccone. "Le cose brutte non esistono" è la storia di un ragazzo di provincia che ha un difficile rapporto con il padre e che un giorno decide di dare una svolta alla sua vita. I frequenti e poco chiari viaggi del padre, gli incredibili racconti di Alfonso Duro (un amico di famiglia che rappresenta per il protagonista una figura di riferimento), le suggestioni che per tutta la sua adolescenza chiusa si sono accumulate esplodono in una ricerca di verità che lo porterà ad azzerare la sua vita. Un amore non corrisposto e un passato che rivela a poco a poco la sua torbida tragicità sono i motori di una storia che si svolge nell’America sconfinata, in cui gli unici punti di riferimento sono i motel che punteggiano le strade che si confondono col deserto e i cartelli pubblicitari a scandire ogni momento.
In America l’innominato protagonista (che è affetto da acufene, un debilitante disturbo all’orecchio) cerca Senida, il suo primo e forse unico amore, cerca Alfonso Duro ma in definitiva cerca sé stesso. È una ricerca senza punti di riferimento, con la metà che continua a spostarsi sempre qualche centinaio di miglia più in là. Finché, dal cielo, un braccio non piomba sul cofano della sua macchina. È il primo febbraio 2003 e lo Shuttle Columbia è appena esploso sui cieli del Texas.
L'AUTORE - Riccardo Romani da vent’anni insegue storie da raccontare in giro per il mondo. Ha scritto reportage da Somalia, Iraq, Argentina, Mongolia, Haiti, Afghanistan pubblicati in tutto il mondo. Ha collaborato, tra gli altri, con il «Corriere della Sera», «Gq», «Vanity Fair». Lavora per Sky Tg24 per cui ha scritto e diretto i documentari The Election Game e Coca Nostra. Con il regista Alfonso Cuarón ha realizzato The Possibility of Hope (2007). Le cose brutte non esistono è il suo primo romanzo.
LA NOVITA' GRAFICA - Le cose brutte non esistono rappresenta una novità coraggiosa dal punto di vista editoriale. Una veste grafica insolita e l’uso del colore anche all’interno danno al libro un aspetto insolito. Ne abbiamo parlato con Leonardo Luccone e Silvana Amato, art director della casa editrice (per altro artefice dell’iniziativa 189 libri in questi giorni a Roma).
Luccone, come definirebbe "Le cose brutte non esistono"?
“È un libro-scrigno che si può leggere in tanti modi diversi, e non è un modo di dire. A livello di impostazione del lavoro, la questione che ci premeva di più era capire il modo migliore per dare forma alla storia di Romani. Il ribollire di pensieri contraddittori del protagonista, per esempio, meritava una visibilità extratestuale; doveva fuoriuscire dal libro, doveva arrivare al lettore anche al di là della gabbia del testo. E così abbiamo capito che doveva esserci altro testo (altri testi, non citazioni dal testo) che doveva scorrere davanti al lettore, distrarlo dalla lettura. Abbiamo creato un gioco di rimandi che ricorda l’affastellarsi dei pensieri quando si è presa una decisione che cambia la vita. Contraddizioni, autoconvincimenti imperiosi, crolli, esaltazione, sembra di stare su un ottovolante. Volevamo un libro a tre dimensioni (per altro questa ricerca continua con il booktrailer a pillole) più una quarta dimensione riservata al lettore. Alla fine credo che sia venuto fuori un libro di grande leggibilità – una prerogativa della nostra collana Bookclub. Sono contento del lavoro fatto, specie sui personaggi. Penso a Alfonso Duro in particolare. Credo che Romani abbia creato un mostro. Abbiamo notizia di lettrici innamorate di lui…”
Amato, come le è venuta l’idea di questo progetto grafico?
“Le cose brutte non esistono fa parte della collana Bookclub in cui ogni libro ha un progetto a sé. Progettare un libro per me vuol dire pensare in modo unitario copertina e interni, quindi, questo come gli altri della collana, non ha solo una copertina pertinente con il testo ma anche un interno pensato appositamente per accompagnare la narrazione. Spesso quando devo progettare un libro parto da una scheda sintetica per capirne i contenuti, ma ci sono delle volte in cui mi concedo il lusso di leggere interamente il testo prima di cominciare a pensare alla sua forma. In questo romanzo ho scoperto dunque, in bozza, su fogli sparsi, che il protagonista soffriva di acufene. Proprio negli stessi giorni, un mio amico e collega di Bari, per caso al telefono mi diceva di avere quel disturbo e che gli pareva di camminare sempre con una conchiglia in testa. Molti anni fa, Fabian Negrin, mi regalò un piccolo disegno che è appunto quello della copertina. L’ho tenuto per tanti anni chiuso nell’armadio come una cosa preziosa del tutto privata. Ora è diventato una cosa un po’ più pubblica. Il passo successivo è stato immaginare dei testi che si sovrapponessero come uno principale e uno che disturba, come un fischio ‘visivo’ di fondo. E, in via piuttosto naturale, dalla copertina questo principio è stato esteso anche all’interno del libro, nello scorrere delle pagine. Partire dal contenuto dovrebbe essere la regola di ogni progetto di grafica editoriale”.
Particolari delle testatine (pagine di destra)