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Culture
Sulla vergogna...

Apparirà bizzarro parlare della “vergogna” in questo periodo, tuttavia, diletta capire come sia possibile che anche questa emozione o stato d’animo sia stata completamente dimenticata.
Si sarà evoluto il genere umano? Saranno tutte persone dotate di buon senso, consce e consapevoli delle loro azioni? Macché. I fatti, a ben vedere, dimostrano il contrario. Vergognarsi, riprendendo anche le considerazioni di Sartre, è una possibilità per conoscersi. Lo specchio di ciò che si è.
Ebbene, quando qualcuno compie un’azione o dice qualcosa di disdicevole, dannoso, o peggio giudicabile dagli altri come abominevole, come può essere il corrotto, il ladro, o semplicemente qualcuno che si comporta in modo del tutto lontano dal pensiero comune e una volta presa coscienza della contraddizione di pensiero e azione, si vergogna, e di conseguenza, arrossisce. La vergogna, l’imbarazzo sono condizioni psico-fisiche del tutto scomparse negli ambienti politici, sociali, istituzionali, o privati. Ragion per cui quasi quotidianamente si assiste a soggetti accusati di corruzione, o di malaffare, che appaiono sereni e lo dicono pure; ce ne fosse uno che ammetta: “Mi vergogno! Ho sbagliato!”.
È davvero complesso nel secondo millennio trovare visi che arrossiscano per un gesto o per un comportamento disdicevole. Da un’osservazione minuziosa o forse non troppo, pochi provano vergogna. Le facce sono talmente bronzee che si resta al proprio posto senza batter ciglia, alle volte non si reputa nemmeno di essere in errore. La verità non esiste. E molti mettono in pratica questo assunto a proprio piacimento, qualsiasi cosa si faccia o si dica non è verità, quindi, si è nel giusto. Sembra una forma di “onnipotenza infantile”, come scrive per l’appunto, Martha Nussbaum: «Quando un bambino scopre di essere dipendente da altri, possiamo aspettarci che ne consegue una rudimentale emozione di vergogna. Questa implica, infatti, la scoperta di essere deboli e inadeguati. Se il bambino si aspetta di controllare il mondo, come in qualche modo fanno tutti i bambini, proverà vergogna, e anche rabbia, per la sua incapacità di controllo».

Non è chiaro, dunque, se molti professionisti della politica non provino vergogna. Non sono stati mai bambini? Oppure, si reputano talmente perfetti, che non hanno la capacità di considerare un loro non valore o imperfezione. O ancora sono capaci di controllare il mondo. E dunque, la Nussbaum propone la vergogna come “impiego politico”, uscire cioè dalla forma narcisistica per coltivare una relazione con il prossimo. Un rapporto che dovrebbe essere di fiducia, di rispetto, di impegno.
Ed ancora, Sartre considera la “vergogna come coscienza di essere o poter diventare un oggetto, di scoprire me stesso come quell'essere degradato, dipendente e cristallizzato che io sono per altri”. La vergogna è il sentimento della “caduta originale”, (Adamo ed Eva, scoprono la loro nudità e quindi provano vergogna dopo essere caduti in tentazione); tuttavia, evidenzia Sartre, la “caduta” non riguarda la questione che qualcuno abbia commesso questo o quell'errore, il “peccato”, semplicemente del fatto che “io sono caduto nel mondo, in mezzo alle cose, e che ho bisogno della mediazione d'altri per essere ciò che sono". Quindi, per Sartre la vergogna è, in un certo senso, l'orrore dell'uomo per la sua oggettivazione, vale a dire spersonalizzazione del sé.
Al di là della considerazione sartriana, pertanto, se la vergogna può essere una prova di coscienza: non ci si conosce oppure nessuno prova a specchiare il proprio Io? Ecco l’urgenza impellente di prendere coscienza della propria identità e di rendersi cittadino cosciente e responsabile di ciò che si è e di ciò che si compie. Sarebbe per l’appunto auspicabile che rinascesse la vergogna come emozione, come un modo di criticare se stessi, valutare il proprio operato in virtù del prossimo, della “filìa”, dell’“àgape”; forse, potrebbe ridursi la mania di raggirare, di danneggiare il prossimo, inibirsi, in sostanza, evitando di avvantaggiare sempre e solo se stessi.

PER UN NATALE DI RIFLESSIONE,
di Alessandra Peluso

 

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vergogna





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