Economia

Banche, la tassa sugli extraprofitti è un flop pazzesco: in fuga anche Mps

di Redazione Economia

Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Bpm, Mps, Bper, Popolare di Sondrio, Credem e Mediobanca hanno preferito mettere a riserva 5 miliardi

La tassa sugli extraprofitti è un flop pazzesco

Doveva essere la proverbiale "manna": la tassa sugli extra-profitti delle banche, approvata da Giorgia Meloni in gran segreto, facendo anche infuriare alleati e personaggi di peso come Marina Berlusconi, è ufficialmente un flop. Doveva portare fino a tre miliardi, al momento è ferma a quota zero, con le banche che hanno preferito mettere a riserva una cifra ben più alta che regalare soldi allo Stato. Ultimi in ordine di tempo due istituti che dallo Stato stesso sono partecipate: Mediocredito Centrale e Monte dei Paschi di Siena. 

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Le banche coinvolte, tra cui Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Bpm, Mps, Bper, Popolare di Sondrio, Credem e Mediobanca, hanno deciso di sfruttare la possibilità di destinare a riserva non distribuibile un valore pari a 2,5 volte l'ammontare della tassa sugli extraprofitti. Questa mossa, apparentemente legalmente valida ma politicamente controversa, rappresenta un duro colpo per il governo e il suo tentativo di raccogliere fondi attraverso questa imposta.

L'erario rinuncia così a un gettito complessivo stimato intorno a 1,8 miliardi di euro, una cifra significativa che avrebbe potuto contribuire al bilancio dello Stato. Se si includono anche Crédit Agricole Italia, Bnl e il sistema del credito cooperativo, il totale dei mancati introiti supera i due miliardi di euro. Questa situazione mette in evidenza il fallimento della tassa sugli extraprofitti come strumento efficace di riscossione fiscale.

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Le motivazioni dietro questa scelta da parte delle banche sono da ricercare nella resistenza a un aumento del cosiddetto tax rate, ovvero il livello effettivo di pressione fiscale. Le istituzioni finanziarie preferiscono avvalersi della possibilità di destinare a riserva indisponibile a bilancio una somma pari a due volte e mezzo il valore teorico dell'imposta, rafforzando così il proprio patrimonio senza aumentare il peso fiscale effettivo.

Anche le banche a controllo pubblico, come Mps e Mediocredito Centrale, hanno deciso di non pagare l'imposta, sottolineando la mancanza di coerenza e allineamento tra l'azionista pubblico di riferimento (il ministero dell'Economia) e il management delle banche stesse. Questa situazione rappresenta un paradosso, considerando che l'introduzione della tassa sugli extraprofitti era stata presentata come una misura sociale per contribuire alla redistribuzione dei profitti nel settore bancario.

La vicenda assume contorni ancora più assurdi quando si considera che anche le banche pubbliche preferiscono accantonare due e volte e mezzo l'importo come riserva patrimoniale anziché versare la tassa allo Stato. Questo scenario evidenzia la debolezza e la mancanza di efficacia della misura governativa nel raggiungere i suoi obiettivi dichiarati.

In conclusione, il fallimento della tassa sugli extraprofitti in Italia solleva interrogativi sulla capacità del governo di implementare politiche fiscali efficaci nel settore bancario. La resistenza delle banche e la mancanza di adesione a questa imposta mettono in discussione l'efficacia e la coerenza delle politiche economiche del governo Meloni.