Economia

Buccellati, la scommessa di Richemont. Oltralpe tutti i gioielli italiani

Andrea Deugeni

Il gioiello italiano? Come l’alta moda e il lusso in generale parla sempre più francese e svizzero. E’ vero che la maggioranza di Buccellati era già andata all’estero, dopo esser stata ceduta a fine 2016 dalla famiglia Pesenti (tramite il fondo Clessidra) ai cinesi di Gangtai Holding, che dove portarlo alla conquista del Dragone triplicandone il numero dei negozi.

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Ma, considerando che Bulgari era finito nel 2011 nell’orbita di Louis Vuitton del miliardario Bernard Arnault, il secondo uomo più ricco del mondo e Pomellato in quella della rivale Kearing dell’altro Paperone transalpino Francois Pinault, il passaggio di Buccellati all’altro colosso del lusso francese ma quotato a Zurigo Richemont, ex Vendome Group, completa il filotto d’Oltralpe sull’artigianalità di lusso made in Italy.

tre assi pigliatutto del mercato, che a colpi di miliardate vanno in giro per il mondo a creare quello che ormai è diventato una concentrazione di marchi nei portafogli di poche mani, in meno di 20 anni hanno fatto razzia in Italia di ben 12 brand dell’alto di gamma tricolore.

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A sinistra il miliardario sudafricano Johann Rupert

Dal 2000 al 2013, Lvmh ha portato nella propria orbita sei marchi: Pucci, Fendi, Acqua di Parma, Bulgari, Loro Piana e Cova. 

Quasi altrettanto ha fatto l’ex Ppr Kearing, sfidando il concorrente parigino: Bottega Veneta e Gucci nel 200, Brioni nel 2011 e Pomellato nel 2013. Richemont era rimasta indietro. 

Dopo aver comprato nel 1997 gli orologi di Officine Panerai, il miliardario sudafricano Johann Rupert è tornato a puntare sul made in Italy acquistando le borse di lusso Serapian nel 2017 e nel 2018 le vetrine online di Yoox-Net a Porter che quel lusso lo mette in mostra sul web per venderlo.

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Anche grazie alle sinergie sviluppate post-acquisizione, la storia della campagna d’Italia di Arnault e di Pinault è costellata di case study di successo. Rispettando le specificità e lasciando le ideazioni-produzioni nel nostro Paese, le conglomerate industriali della moda e del lusso infatti sono riusciti a valorizzare i marchi acquisiti, ben più di quanto abbiano fatto gli investitori finanziari.

Un caso su tutti è quello di Gucci. Nel 2001, prima dell’ingresso dell’ex Ppr,  la maison fiorentina fatturava 1,7 miliardi di euro. Nel 2018, nell’ultimo bilancio disponibile, i ricavi sono stati quasi quintuplicati, a 8,28 miliardi di euro, ammontare che ha trainato tutto il giro d'affari della conglomerata transalpina. Dopo i mega proclami cinesi di agosto 2017, chissà che il ritorno in Europa non porti fortuna anche a Buccellati.