Economia
Buccellati, la scommessa di Richemont. Oltralpe tutti i gioielli italiani
Il gioiello italiano? Come l’alta moda e il lusso in generale parla sempre più francese e svizzero. E’ vero che la maggioranza di Buccellati era già andata all’estero, dopo esser stata ceduta a fine 2016 dalla famiglia Pesenti (tramite il fondo Clessidra) ai cinesi di Gangtai Holding, che dove portarlo alla conquista del Dragone triplicandone il numero dei negozi.
Ma, considerando che Bulgari era finito nel 2011 nell’orbita di Louis Vuitton del miliardario Bernard Arnault, il secondo uomo più ricco del mondo e Pomellato in quella della rivale Kearing dell’altro Paperone transalpino Francois Pinault, il passaggio di Buccellati all’altro colosso del lusso francese ma quotato a Zurigo Richemont, ex Vendome Group, completa il filotto d’Oltralpe sull’artigianalità di lusso made in Italy.
I tre assi pigliatutto del mercato, che a colpi di miliardate vanno in giro per il mondo a creare quello che ormai è diventato una concentrazione di marchi nei portafogli di poche mani, in meno di 20 anni hanno fatto razzia in Italia di ben 12 brand dell’alto di gamma tricolore.
A sinistra il miliardario sudafricano Johann Rupert
Dal 2000 al 2013, Lvmh ha portato nella propria orbita sei marchi: Pucci, Fendi, Acqua di Parma, Bulgari, Loro Piana e Cova.
Quasi altrettanto ha fatto l’ex Ppr Kearing, sfidando il concorrente parigino: Bottega Veneta e Gucci nel 200, Brioni nel 2011 e Pomellato nel 2013. Richemont era rimasta indietro.
Dopo aver comprato nel 1997 gli orologi di Officine Panerai, il miliardario sudafricano Johann Rupert è tornato a puntare sul made in Italy acquistando le borse di lusso Serapian nel 2017 e nel 2018 le vetrine online di Yoox-Net a Porter che quel lusso lo mette in mostra sul web per venderlo.
Anche grazie alle sinergie sviluppate post-acquisizione, la storia della campagna d’Italia di Arnault e di Pinault è costellata di case study di successo. Rispettando le specificità e lasciando le ideazioni-produzioni nel nostro Paese, le conglomerate industriali della moda e del lusso infatti sono riusciti a valorizzare i marchi acquisiti, ben più di quanto abbiano fatto gli investitori finanziari.
Un caso su tutti è quello di Gucci. Nel 2001, prima dell’ingresso dell’ex Ppr, la maison fiorentina fatturava 1,7 miliardi di euro. Nel 2018, nell’ultimo bilancio disponibile, i ricavi sono stati quasi quintuplicati, a 8,28 miliardi di euro, ammontare che ha trainato tutto il giro d'affari della conglomerata transalpina. Dopo i mega proclami cinesi di agosto 2017, chissà che il ritorno in Europa non porti fortuna anche a Buccellati.