Carige come UniCredit, copione Fiorentino: bancari fuori con una jv con Ibm
Il manager aveva già siglato un accordo analogo nel 2013, quando era Coo di UniCredit
Banca Carige vara una joint venture con Ibm Italia per esternalizzare i servizi Ict: la Newco si chiama Dock, è partecipata solo al 19% dall’istituto guidato da Paolo Fiorentino (e all’81% dal gruppo guidato da Enrico Cereda) ed è operativa dal primo giugno scorso. In cambio di un contratto da 500 milioni di euro in 10 anni che Banca Carige riconoscerà a Ibm, la joint venture consentirà a Fiorentino di risparmiare nell’arco del quadriennio 2017- 2020 circa 40 milioni di euro (dunque una decina di euro l’anno), rispetto all’ipotesi di mantenere la piena proprietà delle attività Ict.
La forza lavoro di Dock, guidata da Paolo Sangalli come amministratore delegato, è formata di 173 professionisti, di cui 133 provenienti da Banca Carige e 40 da Ibm Italia, secondo uno schema che Fiorentino conosce bene: nel 2013 il manager, all’epoca vice direttore generale di UniCredit, l’aveva già applicato per dare vita a Value Transformation Services, joint venture tra Ubis (UniCredit Business Integrated Solutions) e Ibm chiamata a gestire e ottimizzare le infrastrutture tecnologiche dell’intero UniCredit, anche in Germania, Austria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria.
In quel caso però Ibm si era limitata a rilevare il 51% mentre Ubis aveva mantenuto il 49%. All’epoca Fiorentino aveva giustificato la scelta spiegando come per una banca “l’infrastruttura tecnologica non rappresenta un elemento qualificante del nostro business, è una commodity, ma questo non significa che la si possa trascurare” (tanto più nel caso di UniCredit, gruppo che già allora doveva gestire quotidianamente oltre 1 milione di transazioni Atm, 3 milioni di pagamenti e 6,5 milioni di transazioni su conto corrente).
L’idea di cedere le attività Ict a partner tecnologici era poi stata seguita anche da Mps, che sempre nel 2013 aveva individuato in Bassilichi ed Accenture i partner con cui dare vita a una joint-venture a cui erano poi stati trasferiti 1.100 dipendenti e che dal primo gennaio 2014 e per sino almeno al 2028 si occuperà dell’intera gestione dei servizi ausiliari, contabili e amministrativi (il cosidetto “back-office”) di Mps. Oltre che ottimizzare i costi operativi, costituire una Newco e cederne il controllo consente agli istituti di ridurre il numero di dipendenti, abbassando così anche il costo del lavoro complessivo.
E proprio una riduzione del rapporto costi/ricavi era stato uno degli obiettivi attorno a cui Fiorentino aveva costruito il piano industriale 2017-2020 di Banca Carige, ottenendo già lo scorso febbraio il via libera del Cda per procedere con l’outsorcing delle attività Ict così da giungere ad una maggiore flessibilità anche nell’ottica di trasformazione verso la banca digitale. Dock concentrerà la sua attività su diverse aree chiave, impostando un percorso basato sul concetto di “miglioramento continuo” che consenta di affrontare un contesto in costante cambiamento.
In previsione di un graduale incremento delle proprie attività la Newco potrà fare ulteriori assunzioni in futuro e a tal fine ha già raggiunto un accordo con la facoltà di Ingegneria dell’Università di Genova per la preparazione e selezione delle nuove competenze professionali necessarie. “Potremo avvalerci di soluzioni sempre più innovative, grazie all’importante capacità di investimento di Ibm per lo sviluppo di nuove tecnologie” ha precisato lo stesso Fiorentino.
Una capacità su cui sembra contare anche il presidente della regione Liguria, Giovanni Toti, secondo cui la joint venture rappresenta “un ulteriore tassello nello sviluppo” di una città come Genova “che sta puntando tutto sull’industria 4.0, un settore strategico per il futuro della Liguria” intera. Un auspicio condivisibile, visto l’impatto crescente del settore Fintech e il confine sempre più labile tra attività bancarie (e industriali) tradizionali e high- tech.
Luca Spoldi